“Party”: intervista a Ruben(s)
“Prenditi la visione del mio ego e spezzalo fino a farlo diventare nullo.”
Si apre così, con una richiesta di autodistruzione, il testo di “Party”, singolo d’esordio di Ruben(s), alias Rubens De Francesco, giovane musicista napoletano che, il 12 settembre, ha debuttato su Spotify e su YouTube, accompagnato dal videoclip musicale diretto da Vitalii Maliuskyi e prodotto da quest’ultimo in collaborazione con CPD Production. Classe 1992, De Francesco, studente di II° livello di chitarra popular music presso il Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento, attraverso un fraseggio e un beat contemporary R&B molto personali e versi intimisti e malinconici, si affaccia all’audience dal divano del suo videoclip tra enigmatiche maschere di coniglio danzanti e un nostalgico proiettore. Mosse di Seppia, avvalsasi già in precedenza della preziosa collaborazione di Rubens per gli appuntamenti di Officina LePo presso A’Mbasciata, ha avuto il piacere di intervistare quest’artista in merito al suo esordio musicale e lo ringrazia per la disponibilità prontamente dimostrata.

Iniziamo con una domanda per rompere un po’ il ghiaccio: come ci si sente ad esordire su Spotify e su YouTube con la propria musica?
Mi sento molto sollevato e contento perché la pandemia e varie vicissitudini esterne hanno ritardato di molto la pubblicazione di “Party”: è stato un lavoro che si è sviluppato un po’ a rilento.

Il brano, seppur caratterizzato da un tono fortemente introspettivo e malinconico, ha un titolo “festaiolo”: come mai questa contrapposizione?
È una contrapposizione un po’ voluta, a dir la verità. “Party” è una sorta di discorso con me stesso e un processo artistico di auto-analisi: malgrado il sapore malinconico, il pezzo si può interpretare come una mia “festa” per il suo carattere liberatorio e di sfogo della mia interiorità.
Nei versi di “Party” si avverte un certo smarrimento, la volontà di trovare una stabilità interiore e una reiterazione dei concetti di “ricordo” e “memoria”.

In che modo questi elementi si sono intrecciati con il processo compositivo della canzone?
Inizio col dire che “Party” è un flusso di coscienza: ho riversato un’ampia gamma di impressioni e pensieri nella sua scrittura. Per quanto concerne “ricordo” e “memoria”, innanzitutto, credo che gli esseri umani siano fondamentalmente il prodotto del loro vissuto, ed è proprio sulla base dei miei trascorsi che, infatti, si concretizza lo “smarrimento”. In fin dei conti, non ho ottenuto tutte le risposte che cercavo dall’analisi delle mie esperienze passate, e, in tutta onestà, va bene così: il perdersi ha rappresentato un input a continuare il mio percorso. Penso, inoltre, che l’arte debba suscitare interrogativi, piuttosto che tentare di dare risposte.

Quali sono state le tue principali influenze musicali per la composizione del singolo?
A livello compositivo, posso dire Miles Davis per il suo metodo di ricerca ed elaborazione melodica.
Il sound del brano, inoltre, si riallaccia anche un po’ all’indie italiano per l’utilizzo dell’autotune e del synth.

Nel videoclip di “Party”, appare spesso una maschera di coniglio, che viene indossata sia dall’attrice Naomi de Bock quanto da te. Questo animale ha un significato particolare per te e/o in merito a ciò che il videoclip vuole comunicare?
La figura del coniglio si rifà a “Rabbits”, serie di cortometraggi scritta e diretta da David Lynch, le cui vicende, rappresentate secondo lo stile enigmatico e misterioso che caratterizza questo cineasta, ruotano attorno a tre conigli antropomorfi che interagiscono tra loro in modo bizzarro e poco comprensibile. Ciò che mi ha colpito della serie è che si possono sentire, in netto contrasto con i suoi toni tutt’altro che divertenti e rilassanti, delle risate inappropriate di un pubblico stile sitcom che generano un grande senso di estraneità. Il videoclip, quindi, aderendo alla filosofia di
“Rabbits”, vuole rappresentare un individuo che si sente fuori luogo, un po’ come un coniglio che si sforza di comportarsi da essere umano: è relativo, quindi, al rapporto del soggetto con il contesto, piuttosto che al soggetto in sé.

Curiosità: per quale motivo il tuo pseudonimo ha una “s” tra parentesi tonde?
Nel corso della mia vita, è capitato spesso che gli altri sbagliassero a pronunciare il mio nome: “Ruben” anziché “Rubens”. Un giorno scoprii che una mia amica, in virtù di questi errori, aveva salvato il mio numero nella rubrica del suo cellulare con il nome “Ruben(s)”: è venuto quindi fuori un po’ per scherzo, un po’ per ironia.

Cosa dobbiamo aspettarci in futuro da Ruben(s)? Hai altri progetti su cui stai lavorando attualmente?
Mi piace immaginare “Party” come l’inizio di un qualcosa di più grande, di una vera e propria carriera magari. Ho altri brani su cui sto lavorando e sono impaziente di aprirmi a collaborazioni ed eventi.

 

                                                                               PASQUALE SBRIZZI