“CANTA CAROSONE”: IN RICORDO DI UN GRANDE NAPOLETANO

Intervista ad Antonio Tricomi, autore di “Canta Carosone”

“Chi conosce Tu vuo’ fa l’americano?”
Se si ponesse questa domanda ad un pubblico internazionale e plurigenerazionale, ci si ritroverebbe con molta probabilità dinnanzi ad una fittissima selva di mani alzate. L’autore della celeberrima canzone e di altri successi intramontabili come ‘O sarracino e Maruzzella è il grande musicista napoletano Renato Carosone, gigante assoluto del panorama musicale italiano del Secondo Dopoguerra che, attraverso una virtuosa operazione di alchimia stilistica, è stato in grado di fondere tradizione partenopea, ritmi africani e fraseggi d’Oltreoceano nella sua musica e conferirle, con una verve tipicamente napoletana, un tono giocoso e parodistico.
Quest’anno è ricorso il ventesimo anniversario della scomparsa dell’illustre musicista, a cui “la Repubblica” ha dedicato il saggio “Canta Carosone”, volume in omaggio con il quotidiano del 30 settembre. Il libro, opera dei giornalisti Gino Castaldo e Antonio Tricomi, è un interessante prospetto sulla vita di Carosone, arricchito dai racconti e le testimonianze di artisti del calibro di Edoardo Bennato, Tullio De Piscopo, Enzo Avitabile, Gigi D’Alessio e Peppino Di Capri.
Mosse di Seppia ha avuto il piacere di intervistare Antonio Tricomi, che ringraziamo per la disponibilità prontamente dimostrataci.

Carosone è stato definito, nell’intervento “Quell’esame a 14 anni” di Luigi Carbone e Anita Pesce all’interno di “Canta Carosone”, come “uno dei primi, grandissimi “contaminatori” della tradizione napoletana” e si fa riferimento a Napoli come un “luogo dove il processo contaminativo ha potuto operare con particolare vivacità nel tempo e nello spazio”. A suo parere, come riesce Napoli a integrare sfaccettature di così varia provenienza nel suo bagaglio di espressioni artistiche e allo stesso mantenere una cifra così identitaria ancora oggi?

Credo che una delle ragioni sia da identificare nella storia stessa della città, una storia di conquiste e di domini, ma anche di importanti e decisivi rivolgimenti sociali (Masaniello, il 1799, le Quattro Giornate). E, ovviamente, non dimentichiamo che stiamo parlando di un porto, un luogo di scambi commerciali e culturali, di una città fondata dai Greci e mai abbandonata dai suoi abitanti, mai decaduta né spopolata neanche parzialmente, come invece è accaduto a Roma. Questo potrebbe spiegare entrambi i fenomeni, le così dette contaminazioni e la persistenza della cifra identitaria. Poi ripeto, è una città portuale. E secondo una certa teoria, purtroppo non ricordo di chi, nelle città che si affacciano sull’acqua, mare o fiumi, le grandi rivoluzioni musicali trovano spazio più facilmente: New Orleans, Chicago, San Francisco, Rio de Janeiro, Liverpool, Londra. Questo, naturalmente, se vogliamo trovare a tutti i costi una spiegazione.

In “Tu vuo’ fa l’americano”, senz’alcun dubbio la canzone più famosa di Carosone, si evince il ritratto di una Napoli affascinata dal modus vivendi americano. Questo fascino per gli Stati Uniti sopravvive ancora oggi?

La grande musica del Novecento, il grande cinema, la grande letteratura, le arti figurative, i movimenti democratici e libertari o sono nati negli Stati Uniti o vi hanno comunque trovato spazio, respiro e sviluppo.
Insieme a tante altre cose che possono piacerci di meno, ovviamente. Dunque sì, questo fascino sopravvive e sopravvivrà. Carosone ne metteva alla berlina gli aspetti più superficiali e modaioli. Ma nessuno era più “americano” di lui.

Da conoscitore di Carosone, in un gioco di immedesimazione, cosa crede che penserebbe questo grande musicista dell’attuale scena musicale napoletana?

Apprezzerebbe gli artisti secondo lui più meritevoli e li incoraggerebbe, come ha fatto in vita per Enzo Avitabile, Edoardo Bennato, Gigi D’Alessio, Pino Daniele, pur così diversi tra loro. Dimostrerebbe di saper ascoltare senza pregiudizi, con attenzione e generosità. Non so se gli piacerebbero i trapper con l’autotune, ma credo e spero di no.

Quest’anno è andato in onda su Rai Uno “Carosello Carosone”, produzione Rai basata sulla vita di Carosone, interpretato nel film dal giovane Eduardo Scarpetta, classe 1993. Quali sono state le sue impressioni in merito al film? Crede che possa costituire un ponte comunicativo con le nuove generazioni?

Sì, il film mi è piaciuto e sì, credo che possa parlare alle nuove generazioni. Ma devo dire la verità, parlare in termini generazionali mi è sempre parso un po’; riduttivo. Nel senso che ovviamente le persone che hanno la stessa età sono più o meno esposte agli stessi eventi, agli stessi stimoli, ma  poi bisogna vedere come reagiscono. Molte idee e molti fenomeni sono trasversali, e questo vale anche per i gusti musicali. Non viviamo in un mondo fatto di generazioni. Viviamo in un modo fatto di individui.

 

INTERVISTA DI PASQUALE SBRIZZI