Per chi, come me, non sa nulla dell’opera lirica (pur essendo cittadino di una delle sue culle) il saggio di Eduardo Savarese “È tardi!”, edito da Wojtek, può fare da guida spirituale ed emotiva.
Entrare in un campo di cui si sa poco o nulla può scoraggiarci e portarci facilmente a desistere. Se ci lasciamo catturare dall’entusiasmo, ad esempio, da un libro si può passare ad un altro e col tempo possiamo costruire una nostra biblioteca di riferimento. Ma se si ha un carattere diverso? Se abbiamo bisogno di una guida? Diventa difficile non solo reperirne una, ma anche dopo averla trovata, bisogna fidarsi dei consigli, dei grandi interpreti individuati dal Cicerone scelto. In fin dei conti, uscire da una soggettività stretta è insidioso, specie quando si tratta di arte.
E se invece questa soggettività la si facesse esplodere, ingrandendola al punto da diventare parte integrante dell’opera? Se entrando in questo mondo che conosce intimamente, sporcato con il proprio sangue durante la lunghezza di tutta la sua vita, ci dicesse: “ecco, lì ho sofferto e pianto perché l’amore mi dilaniava e quelle parole che ascoltavo erano come frecce che piovevano; lì, invece, ho sentito l’orchestra che mi chiamava a una nuova consapevolezza, e ho dipinto con le dita sporche una nota a me stesso che diceva, con semplicità, ‘non dimenticare mai come oggi hai guardato a ciò che avevi guardato tutta la vita allo stesso modo, in una luce diversa’ ”, sarebbe un’aggiunta o si renderebbe inservibile come guida?
Forse, proprio per la sua intimità emotiva, possiamo scegliere di affidarci; un po’ più sicuri che la menzogna da venditore e appassionato sia, se non assente, soverchiata dalla voglia di condividere un pezzo di sé, che non si vuole offendere o macchiare con una macilenta strategia commerciale.

Seguendo il destino di sette personaggi – Violetta Valery, Madama Butterfly, Carmen, La Contessa, Lucia di Lammernoor, Elektra e Norma – che si legano, ciascuna per un suo motivo, all’attesa e la affrontano con modi e passionalità molto differenti, abbiamo la possibilità non solo di conoscere sette vite e sette compositori, ma – forse ancora più illuminante – Savarese consiglia interpreti e versioni da ascoltare per sentire la potenza espressiva di ogni singola opera. Il nome più citato, non sorprenderà, è quello di Maria Callas, che assurge quasi a ottavo personaggio lirico in questa analisi.
Una delle scelte più apprezzabili di Savarese è reindirizzare la lettrice al soggetto stesso – l’opera – anche attraverso l’ascolto su Youtube. Una scelta che forse è solo per comodità, potrebbe essere vista in una chiave diversa: l’opera lirica viene spesso vista, stereotipicamente, come appannaggio della “aristocrazia”; ma indirizzare la lettrice a una piattaforma aperta, è come dire “è lì, patrimonio dell’anima, e non è mai troppo tardi per lasciarsi stupire e commuovere, non ci sono più scuse.”

Ognuna delle opere viene raccontata: viene illustrata la trama, rappresentate le emozioni – leggere o tragiche – dei personaggi in scena, completati anche da alcune informazioni sulla composizione del libretto, sulle scelte dei direttori, sui migliori interpreti – secondo Savarese – di una determinata scena. Ma ciò che costruisce il palco e ci fa vedere lo spettacolo vero e proprio è quando l’autore inserisce nella forma saggio – già più libera di un testo “classicamente” definibile come saggio – le sue memorie (della cui autobiograficità potremmo dubitare, ballando sulla linea del narratore/autore) che inchiodano alcune scene in momenti della vita, connaturati da punti di vista e amori che poi, l’autore/narratore commenta a sua volta dal punto di vantaggio della maturità a cui è arrivato nel momento della scrittura, e può guardare indietro alla sua vita – e all’opera che l’ha arricchita- con trasporto ma anche distacco. O anche quando la descrizione dei personaggi e della trama dell’opera viene portata avanti con la prima persona per far parlare direttamente Elektra, La Contessa oppure Violetta Valery. In questi momenti, la forma saggio – che può risultare più ostica data la densità informativa – si alleggerisce, si apre e lascia guardare il corpo che anima quelle vesti a tratti così solenni. Qui si entra, anche se solo per un momento, nel romanzo, nell’espressione interpretativa della sofferenza umana. Sentire Elektra parlare del suo dolore a noi che leggiamo, svestita di tutto l’impianto, è una soluzione efficace per non farci dimenticare che l’intento del libro di Savarese è aiutarci a sentire l’opera (e per estensione le varie forme dell’arte) come una parte viva e dislocata del nostro corpo. Difatti, nell’Epilogo, nel momento più romanzato dell’opera, l’autore/narratore è in teatro, tra il pubblico, all’inizio insieme a sua madre, ancora giovane, finché, sul palco, non appare il padre, che inizia a cantare A te sull’aure, e subito, la madre si unisce per completare il duetto. A metà tra bambino e uomo, incita la cantante ad andare sul palco anche lei, per far sentire la sua bella voce, la magnifica performance. Ma la madre dice, con leggerezza, che lei è troppo timida e che si accontenta di essere nel pubblico. Ciò nonostante, è anche nell’opera, nell’aria che sta cantando.
Potremmo leggere quest’ultima scena di chiusura (che si rivela molto presto come un concerto a cui presenziano i defunti) come una visione artistica d’insieme: nel concerto finale si rincontrano non solo tempi diversi (essenziati in corpi presenti e passati), ma sul palco si affaccendano le varie eroine, con le loro frasi taglienti, con dolore e saggezza, con una visione d’insieme la cui totalità espressiva sfugge, ma che possiamo comunque osservare e sentire fin dentro le ossa, che crescono nel mentre la musica sale, che fanno male mentre la musica sale, e alla fine, il pubblico applaude commosso per l’arte, per l’amore che suscita, la realtà che manifesta e la bellezza che riesce a donare anche nella tragedia della vita, per noi che siamo, ostinatamente – forse stupidamente- umani, per dirci insieme che non è tardi.


Alessandro Di Porzio

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