Ehi, è divertente.

In giro si dice che io e quelli come me siamo ossessionati dal cibo. Che non pensiamo ad altro mattina e sera. Non fate finta di niente, lo so che si dice. E vi confesso che un po’ mi dispiace. È vero che niente a questo mondo evapora più facilmente della reputazione – che davanti alle sciabolate della vita e della morte a nessuno gliene frega niente di chi sei o dell’opinione che ha di te – ma insomma, ci terrei a puntualizzare che no, non è così. Mangiare ha la sua importanza, per carità, ma io personalmente, ad esempio, mi diverto molto di più a giocare. La mia impressione è che spesso siano gli altri a non sapere come divertirsi.
Mi trovavo al largo della Nuova Zelanda, sarà stato un anno fa, quando ancora facevo vita vagabonda e non avevo piani per il futuro – va’ dove ti porta la corrente, mi dicevo, o meglio ancora dove senti un odore invitante. Dato che non conoscevo bene quelle acque, per mia consueta misura di prudenza nuotavo attaccato al fondale, che era sabbioso e sgombro – situazione poco ideale, perché poi non sai mai dove nasconderti se succede qualcosa, ma tant’è.
Intorno a me l’acqua era grigia e opaca, sopra doveva essere tardo pomeriggio, e non sentivo la presenza di alcunché di vivo nel raggio di chilometri, salvo forse qualche pesce sotto la sabbia.
Immaginate la mia sorpresa quando improvvisamente scorgo davanti a me, a un centinaio di metri, questo coso magro e scheletrico che non ho mai visto prima, apparentemente abbandonato sul fondale.
Avvicinandomi con cautela, ho pensato che fosse morto o qualcosa del genere. Non sentivo odori né rumori, niente di elettrico. Il coso consisteva in un’asta dura e lunga da cui si dipartivano altre aste più corte, e ad un’estremità un rigonfiamento di colore vivace. La forma ricordava quella di un pesce molto magro. Girandoci intorno, l’ho preso gentilmente a colpetti con la punta del muso. Non dava segni di vita. Ne ho concluso che era una cosa e non un animale. Stavo per andarmene quanto la parte colorata ha brillato per un attimo, e chiaro come un pugno in faccia mi è arrivato sul muso il pizzicore dell’elettricità.
Forse era vivo, dopo tutto. Invertendo la rotta sono tornato sul pupazzo e per capire definitivamente cosa fosse ho aperto la bocca e l’ho serrato tra i miei denti. Tanto mi è bastato per realizzare che non era carne né si poteva mangiare. Però non era nemmeno una trappola o che so io, e in fondo non avevo ancora esattamente capito che senso aveva– senza dire che viaggiavo da una settimana e non succedeva praticamente niente. Mi son detto: e se lo sposto e me lo porto in giro? Quando lo faccio con le ossa di balena mi diverto tantissimo.
Sempre tenendolo serrato tra i denti, l’ho portato verso la superficie, nuotando lentamente dal fondale opaco verso la luce del sole. (Una volta ho persino visto il sole – ho messo la testa fuori dall’acqua per mezzo minuto per appurare una questione ed era lassù, a una distanza infinita in quell’atmosfera irrespirabile, il suo raggio dritto nel mio occhio destro. Ma sto divagando.) Ho portato il coso in superficie, ci ho nuotato per qualche metro e poi l’ho lasciato cadere. È sceso lentamente verso il basso, ruotando su sé stesso, e io gli nuotavo intorno incuriosito. È atterrato sul fondale, è rimasto fermo dritto per un secondo, poi è cascato sulla sabbia. Mi son detto: ehi, è divertente, rifacciamolo. L’ho ripreso in bocca, portato su, questa volta lasciato sul pelo dell’acqua per vedere se galleggiava (non galleggiava), e poi di nuovo è caduto sul fondale. L’ho rifatto una terza volta, lanciandolo sopra l’acqua. Ha fatto schizzi e bollicine e poi è sceso di nuovo. Vi giuro, non riuscivo a smettere. L’ho ripreso una quarta volta e poi abbiamo fatto una gara: arrivava prima lui sul fondo o prima io? Si è scoperto che arrivavo prima io. E via così, non so quante altre volta, ogni volta arrivando prima e impedendogli di toccare la sabbia. Poi mi sono divertito ad afferrarlo per un lato e scavare lunghi solchi nella sabbia, prima dritti, poi tondi, poi forme geometriche a caso, purché riuscissi a chiudere la forma dove l’avevo iniziata. Per tutto il tempo continuavo a sentire un pizzicore sul muso, e questa era l’altra cosa che mi intrigava. Come faceva a essere una cosa ed emettere un campo elettromagnetico? Di solito sono i vivi che hanno campi elettromagnetici.
Il gioco è diventato veramente pazzesco quando sul posto è arrivata l’altra grande cosa.
Ad oggi non so bene cosa fosse. Appena l’ho sentita avvicinarsi, ho pensato che fosse una balena. Con le dimensioni c’eravamo. Scorreva sulla superficie dell’acqua, muovendosi a grande velocità. Ma poi ho dovuto ricredermi. Mordicchiandola un po’ dappertutto, la consistenza era la stessa del coso con cui avevo giocato (mi è stato chiarito dopo che si chiama ‘metallo’). Una estremità di quella struttura faceva impazzire il mio radar elettrico. Ho provato a morderla, eccitatissimo da tutta quella corrente – per tutta risposta mi sono sentito percuotere il muso, che era fuori dall’acqua mentre mordevo, ripetutamente e con energia.
C’era della roba viva sopra quel metallo!
Ho capito che era il mio giorno fortunato quando tre di loro sono scesi dal metallo e si sono tuffati in acqua.
In quel momento, d’istinto, mi ero allontanato nell’acqua torbida, per non farmi vedere.
Orbene, ecco un odore familiare – quelle buffe creature rosa a quattro pinne, che respirano aria, e che ogni tanto incontro mentre nuotano sotto costa. A tavola rendono poco, ma come compagni di gioco sono fantastici. La mia eccitazione cresceva. Lì sotto eravamo a casa mia, sapevo benissimo quanti erano e cosa facevano, loro non vedevano a un metro da dov’erano.
Uno è sceso sul fondale a recuperare il coso con cui avevo giocato prima. Che appartenesse a loro? Chissà. Potevo fare la stessa cosa che avevo fatto prima, ma con una delle creaturine – quando giochi con una creatura viva è molto più divertente. Saettando come un siluro, ho agganciato da sotto una delle creaturine rimaste a mezz’acqua e l’ho addentato sul fianco, serrandolo quel tanto che bastava per non spezzarlo in due (l’esperienza insegna: non si rompono i giocattoli, sennò è finita la festa); poi l’ho portato verso la superficie dell’acqua,
lanciandolo in aria.
Pazzesco! È atterrato sul pelo dell’acqua schizzando dappertutto. Sentivo i suoi versi acutissimi, vedevo i suoi movimenti convulsi. Lo dicevo io che i giocattoli vivi sono meglio.
Incidentalmente avevo un po’ di sangue in bocca, ma chissenefrega (mi son detto), non ho fame, ho voglia di giocare! Dai, riproviamo – eccomi a precipizio verso il fondale, poi inverto la rotta, prendo velocità, punto sulla creaturina che sta annaspando verso il metallo, le arrivo davanti e paf, la inghiotto dalla parte della testa.
Lo so cosa state pensando. Squalo, macchina assassina, fa a pezzi innocuo coso rosa.
Cerchiamo di tenere alto il livello della conversazione, nevvero? Non è che solo perché il mio prosencefalo è molto rapido a decidere se attacco o scappo vuol dire che il mio telencefalo non sia capace di processare gli stimoli e venirsene fuori con soluzioni inedite, specie se non ho fame o paura. Detto più semplicemente, non è che solo perché ho sessanta centimetri per trentacinque grammi di cervello sono un cretino. Non ho veramente inghiottito la creaturina rosa – solo metà. Le gambe sono rimaste fuori a scalciare. L’ho sbatacchiato un po’ in qua e in là, sentivo le sue braccia provare a scavarmi le branchie da dentro – adoro quando mi fanno il solletico. Tempo venti secondi di pura gioia e l’ho lasciato andare – c’era troppo sangue nell’acqua e avevo paura di romperlo. Mi sono diretto verso gli altri due – ma non solo erano scomparsi: si erano pure portati via il coso con cui giocavo prima.
Mestamente ho guardato la creaturina venire issata a bordo del coso di metallo da cui era venuta, lasciando nell’acqua sangue e un po’ di urina (buffo: l’odore è come quello delle foche), e infine il metallo allontanarsi rapidamente con un gran baccano.
E così si è conclusa una giornata strepitosa – non mi sono mai divertito tanto. Semmai sono le creaturine che non sanno divertirsi, o sarebbero rimaste e avremmo giocato ancora. Ma ora che mi sono stabilito definitivamente in questo grande braccio di mare – a ovest le isole delle foche, a est le grandi spiagge a basso fondale – sono ragionevolmente convinto che ne incontrerò altre, con o senza quelle strutture di metallo con cui vanno in giro. E ci saranno tanti
altri giochi e tanta altra gioia, nella mia vita come nella loro.

Giulio Iovine