ESERCIZI VEGETALIAutunno: i castagni

La natura non ha scrupoli.
Il morso del leone non ha remore.
La corsa della lepre non ha paure.”
— Luca Tammaro, Meccanicamente, Versi Vegetali

Luca si era addentrato nel cuore del castagneto: il sottobosco era ricoperto da uno spesso manto dorato di fogliame secco e da una miriade di ricci ingialliti schiusi che, con i loro frutti lucidi in mostra, somigliavano ad un tappeto vegetale di occhi guardinghi.
Ai piedi dei castagni secolari che, muti e solenni, mostravano le chiome bionde e fulve di stagione, spuntavano porcini bruni dai cappelli mangiucchiati e spettrali amanite falloidi. Funghi lingua-di-bue dalle tonalità rosacee e vermiglie, come rubizze comari pettegole affacciate ai balconi, sporgevano dai tronchi striati degli alberi ospiti. Sospesi tra gli arbusti di pungitopo e i castagni, chiazze e lenzuoli di ragnatela opaca rilucevano sotto il sole di ottobre come specchi di seta fine.
Nei segmenti visibili di terriccio non coperto dalle foglie ocra e dai ricci, nervature di pallide ife imbiancavano il suolo scuro.
L’umidità di quel luogo profumava di terra e funghi, profumo che Luca adorava e aspirava a pieni polmoni: gli piaceva avventurarsi nell’interno meno battuto del castagneto per cogliere un briciolo di placida primordialità nella frenesia della vita moderna. La sua abituale scampagnata, tuttavia, fu interrotta quel giorno da uno scenario inaspettato che attirò la sua attenzione: un cardellino che, annaspando e pigolando stizzoso, tentava invano di librarsi in volo con un’ala spezzata. Luca,
intenerito dalla caparbietà di quella piccola, sventurata creatura pennuta, prese ad avvicinarvisi: aveva intenzione di metterla al riparo in un anfratto più sicuro, come la cavità di un tronco o sopra qualche ramo d’albero. Il volatile ferito, tuttavia, non sembrava condividere le nobili intenzioni del suo soccorritore: ad ogni passo dell’uomo, infatti, l’uccellino saltellava via, pervaso com’era da un cieco e disperato spirito di autoconservazione amplificato dalla sofferenza. Luca, goffamente, insisteva comunque nei suoi buoni propositi, che, però, non trovavano che opposizione e rifiuto: il cardellino continuava a scappare da lui, come se quell’essere umano dagli intenti così premurosi fosse l’incarnazione stessa del Demonio. Mentre l’uomo si adoperava inutilmente per aiutare quell’animaletto riluttante, vibrò, inudito benché vicino, un lieve fruscio.
Un leggero, serrato, rapidissimo scricchiolare di foglie secche.
Nell’intervallo di una frazione di secondo, con la velocità di una pallottola, un guizzo fiammante balenò dai cespugli vicini e si abbatté sul cardellino.
Luca trasalì.
Una volpe rossa aveva ghermito l’uccellino tra le fauci: gli occhi vispi e indagatori dello scaltro predatore piantati in segno di sfida su quello strano bipede che la fissava incredulo.
Luca, consapevole di non essere in grado di rivaleggiare con l’agile quadrupede, emise un sospiro di rassegnazione: non poteva salvare quel cardellino che si dimenava nella bocca della morte.
Non più.

La volpe, con un versetto simile a un risolino eccitato, fuggì col suo bottino pigolante: svanì per sempre tra i castagni dorati, testimoni silenziosi e longevi della Natura e delle sue sentenze senza remore né scrupoli.

Pasquale Sbrizzi