ESERCIZI VEGETALIEstate: il leccio

In un pomeriggio d’estate rinfrescato dalla pioggia.
Mi sento anch’io una goccia.
— Francesco Paolo Colucci, La goccia, Versi Vegetali

La giornata di oggi non è di certo una di quelle che ci si aspetterebbe da una prima settimana di agosto: il cielo estivo è coperto da un grigio metallico di placide nubi che sembra preannunciare un pandemonio di scrosci, folgori e tuoni.
Ma è tutta apparenza: una suspense meteorologica che su di me non sortisce alcun effetto di tensione. Sono nuvole sonnolente queste che ovattano la luce del sole oggi, abuliche come pipistrelli d’inverno: si limitano a rilasciare sporadiche gocce di fine piovischio che, invisibili e delicate, si smarriscono tra le felci e i cespugli di questo bosco dai sentieri lastricati di tufo annerito e muschi coriacei. La prospettiva del cattivo tempo, infatti, non è stata sufficiente a costringermi in casa. Ho sempre trovato insopportabile starmene rinchiuso tra quattro mura nei pomeriggi d’estate:
durante questa stagione, percepisco più che mai l’impellente necessità quotidiana di evadere dal trambusto e dallo smog della metropoli, l’impellente necessità di una boccata d’ossigeno pulito tra i castagni e i carpini secolari.
All’ombra del leccio mio amico, nella radura erbosa di ciclamini e tarassachi, assaporo le pagine sublimi di Alcyone di D’Annunzio:

Odi? la pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde più rade,
men rade.

La sinfonia poetica de La pioggia nel pineto si frammischia al frinire delle cicale e al canto ritmato delle tortore in amore.
Una goccia di pioviggine, insinuatasi attraverso la chioma rigogliosa dell’albero sotto la quale me ne sto disteso, si tuffa nel terriccio fresco, divenendo tutt’uno con il bosco.
Nell’aria fresca di un agosto che rinnega il suo nome, io mi sento questa goccia.

Pasquale Sbrizzi