ESERCIZI VEGETALIPrimavera: la quercia

Lussureggianti stese di gramigna.
S’accostò la grigia euforia.
E schiarì.
— Axel Perugino, D’Aprile, Versi Vegetali

All’orizzonte, la sagoma gentile e delicata delle colline si scorge a malapena, annegata com’è nella sua tonalità d’azzurro più tenue di quella del cielo limpido.
Tiepidi raggi di sole filtrano tra le fronde dai lobi tondeggianti della grande quercia, macchiando i nostri due volti di chiazze di luce. Una debole bava di vento accarezza la prateria verde puntellata di gramigna e margherite e lei, la mia adorata Sara, il fiore più bello di tutti. Ad ogni mio bacio, la mia amata pare sprofondare sempre più in un sereno, beato dormiveglia: un torpore che spezza, dolcemente, quando decide di bisbigliare parole d’amore col suo meraviglioso sorriso di fata.
La conobbi in gioventù, quando il mondo sembrava non aver perso ancora la sua innocenza.
La conobbi in gioventù, quando tutto ciò di cui avevamo bisogno era l’idea di noi due insieme fino alla morte.
Ora, all’ombra della chioma di questo antico e possente albero nodoso, respiriamo a pieni polmoni l’aria fresca di una primavera lussureggiante che pare possa durare per l’eternità.
“Rebecca…” sussurra Sara, coccolando i suoni aspri del mio nome.
Rispondo al suo dolce appello: mi volto verso di lei con l’ardente desiderio di saziarmi di quegli occhi stupendi, bruni e scuri come gemme d’ebano.
Driiiiin! Driiiiin!
Mi risveglio nel mio letto, sudaticcia e confusa.
Il cinguettare mattutino dei passeri risuona da fuori, il trillo isterico della sveglia tra le pareti della mia camera.
Un sogno.
Purtroppo, era solo un sogno.
E c’eri tu, Sara: persino nel sonno la mia mente si piega alla tua memoria, amore mio.
Perché il destino ti volle figlia di un padre-padrone intollerante dal cuore gonfio di veleno?
Perché ti volle figlia di quel despota assassino che, accecato dalla follia, stroncò la tua vita così preziosa in quel brutto giorno di dodici anni fa?
In quella lugubre stanza d’ospedale, al cospetto del tuo ultimo, fatale respiro, quest’anima si spezzò in due: ne portasti metà con te, oltre l’orizzonte, dove gli angeli tuoi simili hanno dimora.
La piccola ghianda della nostra quercia, divenuta ormai un vigoroso virgulto, sopravvive stoica al passare degli inverni tra le siepi del mio giardino.
Come il ricordo del tuo sorriso.

Pasquale Sbrizzi