“I santi d’argento” di Giancarlo Piacci sono un viaggio alla scoperta della Napoli fuori dalla cartolina

Una storia di degrado e colpa abita le pagine del nuovo libro di Giancarlo Piacci, autore emergente di un noir che incolla i lettori fino all’ultima pagina e, raccontando le sconfitte quotidiane dei suoi protagonisti, lascia in bocca un retrogusto amaro. Sullo sfondo di una Napoli ambigua, pervasa dal fragore delle esplosioni delle sue stesse contraddizioni, si intreccia la storia di Raffaele, un uomo dal passato apparentemente tranquillo su cui grava l’ombra dei trascorsi malavitosi del padre; muore lanciandosi dal tetto di una chiesa in pieno centro storico, ma il padre non crede alla versione ufficiale dei fatti. Per questo motivo chiama Vincenzo Cocchiara, amico di lunga data e voce narrante della storia, affinché indaghi sul suicidio del figlio. Trascinato dal senso di colpa che lo lega a Giovanni, in carcere a scontare una pena che non gli appartiene, Cocchiara si lascia trasportare alla ricerca di verità sommerse, che faticano a emergere tra le ombre delle menzogne calate sul passato.

Sullo sfondo di questo intreccio di bugie e segreti si staglia Napoli, astante silenziosa dall’aria malinconica, a un tempo vittima e complice dei suoi misfatti. E se <<Spaccanapoli è la fica della città più femmina del mondo>>, Napoli è una <<zingara dai denti d’oro>>, è quella donna a cui <<la polizia in commissariato chiede come fosse vestita prima della violenza>>. La colpa è sua, solo sua, se i suoi figli maledetti prendono cattive strade perché non hanno alternativa. Proprio come le donne, vittime del patriarcato, Napoli è una vittima a cui si imputa il reato della sua stessa esistenza, una donna sfregiata dalla mano del turismo, che le cambia i connotati pur di rimanere fedele alle leggi del mercato. Napoli se l’è cercata, il sistema se ne lava le mani.

E dunque uno dei poli attorno ai quali ruota la vicenda è costituito proprio dalla femminilità e dal femminismo. Non è solo una questione stilistica e poetica, un’esaltazione fine a sé stessa della femminilità come bellezza: a svolgere i ruoli chiave della storia sono tre donne, Maria, Diana e la Bestia, segnate da un comune destino di subalternità al potere patriarcale e schiacciate dalla propria condizione economica e sociale.

L’altro polo è quello del dolore, della violenza in ogni sua manifestazione. Che si tratti di violenza domestica o della repressione forzata di una manifestazione da parte della polizia, fino ad arrivare alla sofferenza esistenziale causata dalla incompatibilità con l’ambiente, il dolore è una presenza costante del libro di Piacci. È il dolore dell’oppressione, degli ultimi che non hanno e non avranno possibilità di riscatto, condannati a subire la violenza dello Stato e della società. In un mondo che promette e non mantiene, che dà un’alternativa solo a chi ha già possibilità di scelta, il passo verso la malavita, la droga e il degrado è breve. I disegni di Dio non hanno chiave di lettura per gli ultimi.

Giancarlo Piacci ci lascia dunque un racconto avvincente, la cui forza risiede nei continui colpi di scena e nella capacità che ha l’autore di indagare nei meandri più nascosti della psiche e del passato dei protagonisti, in un romanzo in cui anche i personaggi secondari hanno una caratterizzazione psicologica ben definita e hanno la forza di conquistare lo spazio che si meritano sulla pagina. Questo non impedisce però allo scrittore di farcire il suo romanzo con la crudezza e l’indignazione della denuncia sociale e del racconto della realtà che cambia sotto gli occhi di chi ne è osservatore, senza indulgere però ad alcun tipo di sentimentalismo.

 

GIULIA IMBIMBO