SCONOSCIUTO: MUSICA E TEATRO SOTTO IL SEGNO DELLA RINASCITA

La stagione estiva in Campania si è aperta sotto la buona stella del teatro: dal 12 giugno all’11 luglio si sono infatti tenuti gli spettacoli del Campania Teatro Festival, iniziativa che ha coinvolto l’intera regione e incoraggiato la ripartenza di uno dei settori più martoriati dalla pandemia di COVID-19. Il 30 giugno, presso il Giardino paesaggistico di Porta Miano a Capodimonte, è andato in scena “Sconosciuto. In attesa di rinascita”, opera dell’attore e regista Sergio Del Prete. Il comparto musicale dello spettacolo è stato curato da Francesco Santagata, musicista poliedrico e compositore per il teatro. Mosse di Seppia ha avuto il piacere di intervistare queste due interessanti personalità della scena artistica campana e ringrazia per la disponibilità.

Iniziamo da Sergio Del Prete. Cosa ha ispirato la scrittura di Sconosciuto? Ci sono autori con cui hai percepito un’affinità particolare?

Sconosciuto. In attesa di rinascita” è un testo che nasce su carta nell’estate del 2019 e lo completo nel mese di settembre 2020. Nasce da un’esigenza molto precisa: mettersi al centro di se stessi, trovare l’essenzialità della propria vita, imparare a guardarsi meglio allo specchio e soprattutto cercare di rendersi esempio. È la storia di un uomo che scopre da una banale lite tra i propri genitori che prima che lui nascesse, la madre ha subito un aborto. Questa notizia lo sconvolge a tal punto da fargli nascere dei dubbi sulla propria esistenza, iniziando un dialogo/invettiva nei confronti del fratello: “se fossi tu al posto mio, io dove sarei stato? Io sono nato solo perché non sei nato tu o perché mi hanno voluto?”
Dubbi che accompagnano una vita fatta di incomunicabilità e contesti degradati, un degrado non solo fisico, ma emotivo. Una visione estrema, aperta, sincera, periferica d’animo sulla realtà, ma soprattutto sulla voglia di trovare stimoli per andare avanti, per guardare la bellezza, nonostante tutto. Non essendo io un drammaturgo puro, ma un principalmente un attore, ho sentito il bisogno di mettere su carta e poi in scena un sunto di un mio percorso personale e lavorativo. In questo testo ci sono anni di studio dei testi di Enzo Moscato, di Annibale Ruccello, ma soprattutto la narrativa di Peppe Lanzetta, autore al quale sono molto legato perché rivedo nei suoi libri un panorama periferico nel quale sono cresciuto. Mi ha ispirato senza dubbio ciò che è accaduto nella nostra società negli ultimi tre anni, ma le tante dinamiche che ho vissuto in prima persona rispetto alla provincialità vista dove sono cresciuto, a Frattamaggiore, a nord di Napoli, e vista nelle micro dimensioni vissute in città.

Vi sono degli elementi autobiografici nell’opera?

Non esattamente. È indubbiamente un testo in cui descrivo una periferia che ho vissuto, e quando parlo di periferia mi riferisco a dinamiche familiari ancora legate ad una certa formalità, una provincialità che tarpa le ali. Ciò che però volevo, scrivendo questo testo, era mettere poi in scena una periferia simbolo, una provincia come stato mentale, quindi dinamiche di provincia che possiamo ritrovare anche nei salotti borghesi della città. Tocco anche il tema dell’aborto, ma in questa storia lo tratto come dato di fatto, come stimolo a farsi domande, stimolo ad osservare ciò che ci circonda, ma soprattutto stimolo a guardare diversamente se stessi.

L’esperienza del Campania Teatro Festival è sicuramente coinvolgente per un artista, ma il pubblico e la critica come hanno accolto “Sconosciuto”? Tornerà in scena anche altrove?

Mettere in scena uno spettacolo è sempre un rischio, una prova, un enorme dubbio. Non avevo idea dell’effetto che poteva avere sul pubblico un testo così. L’unica sicurezza che avevo era quella di aver compiuto un lavoro onesto, sincero. La mia onestà in questo lavoro infatti è stata sposata in primis dalle persone che ho deciso di avere accanto per la creazione di questo spettacolo. Parlo di Raffaele Ausiello come aiuto regia, Francesco Santagata che ha composto le musiche dello spettacolo suonate dal vivo, Carmine De Mizio per la scenografia e disegno luci e Rosario Martone per i costumi. Dopo aver pronunciato l’ultima parola del testo ho capito che questo lavoro è stato sposato anche dal pubblico. Ho avvertito da parte del pubblico un riconoscersi nelle parole del testo, una visione delle propria intimità, ma soprattutto lo stimolo a farsi domande, che dovrebbe essere a mio parere il fine del teatro: far nascere domande. Le critiche al momento sono state buone, vedremo in futuro come saranno, se questa situazione che stiamo vivendo ci farà godere il futuro. La situazione teatrale non è felice in questo momento, tanti spazi off e teatri con un maggiore numero di posti sono in grande difficoltà quindi ci sono tanti fattori da valutare prima di accettare uno spettacolo. La mia voglia mi porta ad andare in scena in qualsiasi posto. Il teatro ora ha bisogno di raggiungere il pubblico ovunque ci siano le condizioni giuste.

Un caloroso ringraziamento da parte di tutta la redazione di Mosse di Seppia a Sergio Del Prete per la disponibilità dimostrata.
Passiamo ora a Francesco Santagata. Come nasce questo sodalizio tra composizione musicale e teatro?

Il mio sodalizio con il teatro nasce ben quattordici o quindici anni fa, non ricordo bene. Dopo le prime collaborazioni con alcune compagnie emergenti del territorio, mi sono reso conto che le mie atmosfere potevano prestarsi felicemente al contesto teatrale. Così, dato che da cosa nasce cosa, la musica per teatro ha cominciato ad occupare una grossa fetta della mia attività artistica e continua a
farlo tutt’ora (con alcune compagnie, infatti, s’è creato un lungo e produttivo legame di collaborazione: penso alla Liberaimago a cui ho musicato tantissimi lavori, agli spettacoli con Francesco Luongo, al teatro di strada della compagnia Dal Pian Terreno, alla recente collaborazione con Sergio Del Prete e a tante altre esperienze). Nel caso specifico di “Sconosciuto. In attesa di
rinascita”, il sodalizio è nato dall’esigenza registica di avere una musica in grado di dialogare quasi costantemente con l’attore in scena. Una musica che in un certo senso s’è fatta “attrice” nell’accompagnare, contrastare e conversare con l’attore principale. Questo mi ha dato la possibilità di spaziare in tanti ambienti sonori (dall’ improvvisazione in live electronics, al blues, passando per la sperimentazione atonale e concedendomi momenti di pura melodia) e mi ha messo nella condizione di potermi divertire davvero molto.

Nel 2016 hai rilasciato “Falsi Risvegli”, il tuo debutto solista, e noi ci auguriamo sia il primo disco di una lunga e fortunata carriera. In che modo la tua esperienza di compositore per il teatro influenza la tua produzione musicale solista?

Il teatro è stato al centro del mio primo disco “Falsi Risvegli” ma anche di “Lontano Lontano Soundtrack”, il mio secondo lavoro in collaborazione con Francesco Luongo. Il primo, originariamente, doveva essere una raccolta di colonne sonore create per il teatro fino a quel momento, però poi mi son fatto prendere la mano e i riarrangiamenti hanno preso un via così unitaria da poterlo definire tranquillamente un “concept album”. Il secondo invece, pur essendo la riscrittura di alcune delle più celebri canzoni di Luigi Tenco (realizzate per lo spettacolo “Lontano lontano. Luigi Tenco. Il Giorno Dopo“) dovrebbe essere considerato come un album di brani inediti. Le canzoni infatti sono state totalmente destrutturate nella forma, nell’armonia e, in alcuni casi, nella melodia, a partire da un profondo lavoro di ricerca. Attualmente invece, nei miei lavori solistici, mi sto dedicando completamente alla musica pura e ad un approccio slegato da ogni forma di applicazione (immagini, testo teatrale e via dicendo).

Attualmente stai lavorando ad un nuovo album?

Ebbene si. Non si tratta di un album, ma di un EP a cui mi sono dedicato per più di un anno: pochi brani a cui tengo molto e che credo rappresentino alcune delle mie migliori creazioni.
Il tutto nasce da alcuni lavori realizzati per il corso di Composizione Elettroacustica del Conservatorio di Napoli, a cui però non sono riuscito a distaccarmi nemmeno dopo la consegna per cui son nate. Mi sono mosso in questa miscela di musica elettroacustica e forma canzone (totalmente destrutturata), miscela sicuramente derivata dalle riflessioni a cui ci ha costretto questo assurdo periodo storico. Credo si chiamerà “Trovare un modo”, o qualcosa di simile, ed è ormai praticamente
pronto. Sto cercando la formula migliore per ultimarlo e presentarvelo al meglio. Non vedo l’ora.

Per concludere, domanda per entrambi. Dopo la lunga battuta d’arresto per gli spettacoli dal vivo determinata dalla pandemia di COVID-19, come ci si sente ad essere di nuovo su un palcoscenico?

Francesco Santagata: “Devo essere sincero, io amo lavorare a casa e, per quanto adori profondamente esibirmi dal vivo, ho ancora problemi a combattere con una profonda timidezza acuita dall’assenza dal palco. Tutto questo ha reso davvero difficile questo ritorno netto ed improvviso avvenuto recentemente: son passato dal non vedere nessuno all’incontrare tutti i colleghi, dalla tranquillità della mia casa ai lunghissimi viaggi in auto, dal poter gestire liberamente il mio tempo all’avere infinite scadenze. Tutto d’un tratto.
Ciò detto non se ne poteva più e il settore stava subendo un danno economico ed emotivo davvero troppo grande per poter aspettare anche solo un altro giorno…
In più è bastato sentire lo scricchiolio del palco sotto i piedi per ricordarmi totalmente la ragione che mi ha spinto a fare questo tipo di vita.

Sergio del Prete: “È stata una grande emozione, soprattutto perché ci tornavo con un mio lavoro. Non mi sono fatto illusioni però, bisogna essere realisti. C’è stata una piccola riapertura, un piccolo inizio, ma ora dobbiamo fare in modo di restarci sul palcoscenico, in modo particolare perché anche il pubblico ha una grande voglia di andare a teatro, non è solo una questione che riguarda gli artisti, ma anche le tante persone che hanno voglia di ritrovarsi a vivere un rito. La strada è ancora lunga, ma nel frattempo cerchiamo di goderci il viaggio.”

 

INTERVISTA DI PASQUALE SBRIZZI