Sono le undici, Ciro accende una sigaretta mentre si appiattisce sul muro per godersi un po' d'ombra. Mi saluta appena mi vede come se fossi un vecchio amico; è con un suo cliente molto affezionato che gli da una mano a portare alcuni scatoli di libri non appena un corriere li lascia vicino alla porta. Parlano del più e del meno, commentando su un piccolo inciucio del mondo letterario. Anche se da poco mi sono avvicinato a questa libreria, mi sembra di esserne già parte.Così come le persone che ho conosciuto mentre sono stato lì si sentivano in un posto che gli apparteneva. Finita la sigaretta, ci mettiamo dentro e continuiamo a parlare mentre do uno sguardo ai numerosissimi libri. Apre uno degli scatoloni e ride mentre si guarda attorno, cercando uno scaffale libero dove mettere i nuovi arrivi. “Prendo sempre troppi libri” dice con un tono di voce uguale al mio quando dopo aver preso l'ennesimo romanzo torno a casa e mi dico “questo è l'ultimo per un po'”. Ci sediamo, un ultimo sorso di caffè e poi gli chiedo:

Che percorso ti ha portato a lavorare come editore indipendente e libraio?

“Indipendente inevitabilmente”

Prima di quest’esperienza, già nel 2007, fondai un’altra casa editrice insieme a mio fratello, Ad Est dell’Equatore, in cui sono stato 3-4 anni. Decisi di uscirne per questioni personali e un po’ di disaffezione al progetto. Trovai lavoro.Dopo di che, 3-4 anni fa, mi chiamò Lucio Leone, per chiedermi se avevo voglia di mettere su una nuova casa editrice. All’epoca ero a Bologna e credevo di restare lì, ma decidemmo di tornare. Decisi di fare una specie di All-in, accettai la proposta del mio socio e aprii anche una libreria, indipendente inevitabilmente.La libreria ha solo titoli di case editrici indipendenti per una questione semplice: ritengo che nell’editoria indipendente oggi risieda la vera qualità letteraria, hanno più voglia di fare cose belle. Come le case più mainstream, anche loro sono inserite nel mercato – per cui hanno voglia di vendere libri – però tengono la barra dritta sulla qualità, così come Wojtek come casa editrice.Noi per esempio puntiamo molto sulla nuova narrativa.Attualmente abbiamo due collane, una di narrativa italiana l’altra di narrativa straniera. A settembre apriremo anche una nuova collana di critica letteraria.Entrambe le collane attualmente esistenti sono slegate dai generi; non è narrativa di genere, soprattutto sulla narrativa italiana vogliamo fare cose sperimentali, guardando alla lingua, sperimentando sull’impaginato anche. Sulla forma oltre che sui contenuti. Cosa mi ha portato a fare questo lavoro? ti direi sicuramente l’amore per la letteratura.

A proposito di sperimentare nello spazio, mi hai parlato qualche tempo fa di letteratura ergodica e avete pubblicato anche un volume che avete presentato da poco Timidi Messaggi per Ragazze Cifrate di Ferruccio Mazzanti.

Si, ma anche Storie che si biforcano di Dario de Marco, un po’ anche Teorie della comprensione profonda delle cose di Alfredo Palomba.
Di fatto, la letteratura ergodica ha pochissimi esponenti – il più famoso è Mark Danielewski e il suo Casa di Foglie è considerato il manifesto della letteratura ergodica. Comunque, la nostra non è una precisa volontà di inserirci nel mondo della letteratura ergodica, ci piace sperimentare e di sicuro la letteratura ergodica oggi è un modo di sperimentare molto espressivo.
Adoro gli esercizi di stile, ma se non sono abbinati al contenuto, alla lingua, non diventano qualcosa che vale la pena pubblicare.

Come è cambiata la linea editoriale di Wojtek negli anni?
“Quello che ci piace leggere come lettori”
Non è cambiata in questi quattro anni. I primi titoli sono stati Anna Adornato con Gli Affetti Provvisori ed Emanuela Cocco con Tu che Eri Ogni Ragazza. Non è una precisa…non è un’ossessione la nostra di cercare qualcosa di strano e di assurdo. Ci siamo resi conti, ad esempio guardando sulle riviste on-line da cui peschiamo moltissimo, che la letteratura contemporanea va in quella direzione. Per cui, se vogliamo essere rappresentativi di una letteratura contemporanea, questo è quello che sta succedendo oggi giorno in Italia. Non siamo i soli che stanno facendo queste cose. Alcuni editori sono Polidoro Editore, Pidgin, NN, SEM, tutte indipendenti.
Se guardo ai grandi gruppi editoriali devo dire che questa voglia di andare a cercare qualcosa che chieda anche al lettore un minimo di sforzo in più, forse non c’è. Nel senso che sono libri che si assomigliano molto, che hanno un’impostazione molto simile, che tendono molto ad andare incontro al lettore, che danno per scontato che il lettore sia poco preparato, passivo. Il tuo gusto si ripercuote anche su quella che è la linea della casa editrice.
Fondamentalmente, è anche quello che ci piace leggere come lettori.

Da lettore, cosa è che ti cattura e cosa ti fa smettere di leggere?

Io penso di non aver mai smesso di leggere un libro. Quando lo comincio lo devo finire. Anzi, meno mi piace, più accelero la lettura perché devo togliermelo da davanti. Dopo tanti anni, prima ancora di leggerlo, già sai se quel libro ti piacerà. È difficile che inizio a leggere un libro che è una merda. Impossibile.
Cosa mi spinge ad andare avanti, di certo mi piacciono i libri che sono scritti bene, con consapevolezza verso quello che si sta scrivendo.
Chiaro che ci sono dei libri, capolavori stupendi, che sono più accessibili ma attualmente ho un innamoramento, Antonio Moresco: un autore che non scrive cose semplici ma che mi ha cambiato la vita, mi ha colpito nel profondo. Lui disgrega completamente le regole della narrativa novecentesca: i tempi verbali, la lingua, le regole grammaticali, tutto quello che non si dovrebbe fare lo fa ma con consapevolezza. È un autore che entrerà nella storia della letteratura europea. Non sono l’unico a dirlo. Purtroppo ha avuto molti problemi con editori della grande distribuzione, tant’è che oggi pubblica con SEM, che gli ha dato completamente carta bianca, è un autore molto prolifico.
Lui è geniale, se ti dovessi consigliare un autore partirei subito da lui.

 Per una certa parte di linguistica, la grammatica è l’inventario delle possibilità espressive della lingua, quindi romperne le regole potrebbe essere letto come una necessità espressiva, oppure far notare che è un costrutto che si può rimaneggiare. Credi si possa applicare?

 

Si però bisogna non diventi una fissazione. Arrivano tanti manoscritti che sperimentano ma non sono ancora pronti. È sempre una questione di consapevolezza. Moresco ha iniziato a pubblicare dopo i 50 anni. Quindi, se tu, ragazz* che cominci a scrivere, vuoi partire da decostruire, sperimentare, prima devi leggerti 300 anni di letteratura mondiale, devi avere i mezzi. Anche l’arte visiva è così, Picasso prima di fare Cubismo ha iniziato disegnando come Caravaggio, non fai due schizzi ed hai inventato il Cubismo. Adoro anche i romanzi che sono scritti rispettando le regole del buon scrittore o della scrittura creativa, devi saper maneggiare anche quei ferri lì.

Tra le realtà indipendenti che conosci, quali sono quelle che ti incuriosiscono di più?

Sicuramente, Minimum Fax, che ha fatto la storia dell’editoria italiana: sono partiti faxando le riviste che avevano. Da lì hanno iniziato a pubblicare sia nel versate italiano che quello americano delle cose fantastiche, da Aimee Bender a David Foster Wallace, Raymond Carver, Jonathan Lethem a molti altri. C’è la collana Nichel che ha visto negli anni alternarsi Vasta, Pincio, Tedoldi, Parrella, Gala. E poi Marcos y Marcos… è bello sai quando? Quando peschi a caso da un catalogo e leggi un bel libro! Se dovessi trovare a Portalba un libro vecchio di Marcos y Marcos, prendilo, perché è un bel libro. Loro soprattutto sulla letteratura straniera. C’è Sur che si occupa molto di letteratura Sud Americana (Onetti, Paz, Cortázar e molti altri), ma si occupano anche di Nord Americana. Altre che mi vengono in mente sono Atlantide; Arcoiris, che si occupa di letteratura Sud Americana, come Alberto Laiseca che andremo a pubblicare anche noi come Wojtek. C’è Cliquot che fa un’opera di recupero, pubblicando libri un po’ dimenticati. Ad esempio, hanno pubblicato gli Esploratori dell’Infinito di Yambo: lui autore e illustratore, un libro fantastico. C’è Il Saggiatore, che attualmente è tra i più importanti tra gli indipendenti; c’è Sellerio, c’è Adelphi che è tra le migliori case editrici in Europa. Si ferma un secondo.Anche qui, se vedi un libro di Adelphi su una bancarella prendilo sempre.Un’altra casa che adoro è NN. Ad esempio, la prossima presentazione, venerdì in libreria (18/06), è di NN, Il buio non fa paura di Pierlorenzo Pisani. Fanno un lavoro molto curato. Adoro Ponte33 che pubblica solo dal Persiano, raccontando un Iran molto molto moderno rispetto a quanto potremmo immaginare noi Europei. Pidgin, sono napoletani anche loro, si stanno aprendo anche alla letteratura italiana, hanno pubblicato Francesca Mattei. Nutrimenti, Nottetempo, Fandango libri. Insomma la lista è molto folta. Abbiamo anche un rapporto abbastanza stretto con le riviste, per via di interessi editoriali e curiosità.Noi peschiamo molto dalle riviste online quando siamo alla ricerca di nuovi autori e autrici. Ad esempio, Verde, Crapula (alcuni fondatori di Crapula sono diventati Editor o hanno pubblicato con Wojtek), c’è Micorrize di Antonio Russo De Vivo, Malgrado le Mosche e Una Banda di Cefali.

Credi che il radicamento sul territorio sia una condizione necessaria per una libreria di indipendenti o la presenza online può bastare?

Noi non siamo online, abbiamo i social media ma non vendiamo online. Non so neanche se sia attiva Instagram. Il radicamento sul territorio è necessario, ma non è nemmeno una scelta di marketing, è venuto spontaneamente il mettere su una comunità. Sono venuti fuori, a Pomigliano.. è stata questa libreria un po’ una calamita per tutti i lettori forti che sono venuti autonomamente. Essere diventati un po’ una tana per le persone che leggono- persone che non si conoscevano tra loro- è stato bello. Questo ci ha dato la possibilità di mettere su il festival del FLIP (Festival Letteratura Indipendente Pomigliano d’Arco) a cui parteciperanno Antonio Moresco, Sylvie Richterová -autrice Ceca molto importante in Europa- ci saranno molte delle case editrici indipendenti che ti ho nominato; come autori/trici Francesca Mattei, Alfredo Zucchi, Roberto Venturini, Sandro di Domenico, Raffaele
Mozzillo, Flavio Ignenzi, quasi quaranta ospiti. Il FLIP si terrà dal 3 al 5 settembre, con incontri molto serrati. La speranza è quella che le persone verranno per vedersi tutto, per riempirsi con la letteratura in modo continuativo dalle 12 (con pausa pranzo, mi dice scherzando) fino alle 10 di sera. Ci saranno non solo presentazioni ma anche tavole rotonde, case editrici che parleranno dell’editoria indipendente, ma anche come è andata durante la pandemia. Ci sarà Leonardo Luccone di Oblique Studio, scuola di scrittura creativa ed editing in Italia. Credo che per un ragazz* che abbia intenzione di scrivere, o per un appassionat*, sia veramente un’occasione unica. Non è per farci pubblicità, credo che oggettivamente sia un’occasione unica avere così tanti nomi riuniti.
Gli ospiti saranno tutti presenti dal 3 al 5 quindi ci sarà l’opportunità di parlare con tutti, fermarli, confrontarsi e mettersi in gioco. Il festival è organizzato insieme a Maria Carmela di Mio Nonno è Michelangelo – una libreria indipendente di Pomigliano d’Arco, specializzata nella letteratura per l’infanzia – , e da Una Banda di Cefali; ma anche grazie al contributo del Comune di Pomigliano d’Arco.

L’aver scelto un luogo di periferia – oltre che per radicamento sul territorio- può essere letto un po’ come l’apoteosi dell’indipendenza editoriale, non si ha bisogno del grande centro culturale per proporre un’iniziativa di alto profilo culturale ed imprenditoriale, ma anzi si sceglie di farla in periferia. Che ne pensi?

Non è una cosa contro Napoli o contro un qualsiasi altro centro, è una cosa Pro a questa città che mi ha permesso di realizzare i miei sogni, c’è anche un senso di gratitudine da parte mia, è un modo di dire grazie alla comunità di lettori con cui lavoriamo e interagiamo. Poi mi auguro che vengano persone da tutta Italia- magari anche da Napoli, se riescono a trovare il posto per la macchina.
Mi piacerebbe molto anche perché questa sarà solo la prima edizione.
Siamo stati un po’ limitati per via della pandemia, ma nelle prossime edizioni vorremmo avere anche più ospiti internazionali. Per adesso, l’unica ospite internazionale è Sylvie Richterová. Il FLIP vuole essere soprattutto, oltre che un evento culturale, una festa per ricominciare dopo quest’anno e mezzo che siamo stati chiusi in casa, un momento di vita vera, per la voglia che abbiamo di stare insieme e condividere la nostra passione comune. Sarà un’occasione anche per me, specie dal lato della letteratura per bambini e per ragazzi. Conoscere Bruno Tognolini, oppure Orecchio Acerbo, Edizioni Primavera, che fanno cose meravigliose, che fanno grandi cose. La letteratura per l’infanzia sta raggiungendo picchi di qualità che non esiste in quella per adulti, curati nell’edizione, nelle illustrazioni, nella stampa. È un bel settore che però conosco poco.

Ti prepari per quando dovrai leggere le favole al tuo piccino…

Ma lo faccio già, non so se mi capisce ma gliele leggo. Per adesso è interessato soprattutto all’oggetto, gli piace masticare il libro.

Ci sono progetti e/o iniziative di coinvolgimento del pubblico dei tuoi colleghi che ti hanno colpito?

Senza dubbio, in quest’anno e mezzo, noi piccoli librai dobbiamo ringraziare un librario di Parma – e l’abbiamo invitato per questo anche al FLIP – che è Antonello Saiz (Libreria Diari di Bordo). Ha fatto presentazioni quotidiane, ci ha tenuto compagnia tutti i giorni del lockdown, ed è stato davvero incredibile. Credo sia il miglior libraio di Italia, secondo me è il miglior libraio di Italia. Attentissimo all’editoria indipendente, incredibilmente bravo a coinvolgere i lettori. Io ho persone che guardano le sue dirette e poi vengono qui a comprare i libri. C’è un senso di gratitudine enorme per questo libraio, che poi conosceremo al FLIP.
Non vedo l’ora.

Se avessi la possibilità impossibile di far leggere tre libri di autor* contemporane* italian* a tutti gli italiani e le italiane, quali sceglieresti?

“Più vai avanti a scoprire l’universo più ti fai domande.”
Moresco, ça va sans dire, per me è una cosa che non ha pari al mondo, per me è il più grande scrittore vivente. Mi guarda e ci pensa su un attimo.
Allora, te ne dico quattro: una è Anna Adornato, che è un’autrice che ho pubblicato sia con Ad Est Dell’Equatore che con Wojtek, e secondo me lei è uno dei più sfolgoranti talenti che abbiamo oggi in Italia. Ha una scrittura molto di pancia ma ha un talento unico in Italia, una profondità di pensiero e una capacità linguistica incredibile e con pochi pari. Poi ti dico Davide Morganti, che ha pubblicato con Neripozza ma anche con Wojtek e Fandango. Ti dico, chiedi a chiunque chi è il miglior autore italiano contemporaneo e ti dirà Davide Morganti. Anche lui molto particolare perché politicamente ha posizioni fuori dal comune rispetto al pensiero
dominante, rispetto a quella che è la letteratura italiana, che non è la mia posizione ma comunque…
Gianfranco di Fiore, che ad oggi ha pubblicato due romanzi pazzeschi, anche lì parliamo di un autore enorme, gigantesco (sarà presente anche lui al FLIP) poi ti dico Alfredo Zucchi, che è anche editor di Wojtek. Quando lessi La Bomba Voyeur, era così’ complesso che dubitai di riuscire a comprendere tutto quel che voleva dirmi e le ultime quaranta pagine – gliel’ho sempre detto- sono state scritte da uno scrittore in uno stato di grazia. Anche lui un talento fortissimo. Te ne potrei dire ancora altri.

Mi sa che ci voleva una top ten, o una top one hundred…

Il fatto è questo: tutti noi abbiamo libri che non abbiamo ancora letto. Anzi è come l’astrofisico che più sta lì a studiare e più sta lì e si dice che non sa nulla.
Più vai avanti a scoprire l’universo più ti fai domande.

Quali sono i problemi più frequenti che ti capita di avere con scrittori e scrittrici?

In generale, ci sono questi sedicenti scrittori che ti rendi conto hanno letto pochissimo e che hanno deciso di scrivere per vanità o per atteggiarsi. E tu stai la a dirgli i motivi per i quali non puoi pubblicare un libro simile, né Wojtek né nessun altro, e il giorno dopo ti incolpano di non capir nulla di letteratura. L’arroganza è brutta ma poi mi dispiace. Se ti spiego e non hai nessuna intenzione di ascoltare non andiamo bene. Spesso poi queste persone si rifanno all’editoria a pagamento.
Quando poi trovi l’autore o l’autrice con cui riesci a lavorare è una cosa bellissima. Non possiamo dire sempre di Sì, anche ai testi che ci piacciono molto, perché facciamo un 8-10 pubblicazioni l’anno per cui capirai non possiamo pubblicare tutti i libri che ci piacciono, che meritano. Devi pubblicare i migliori. L’undicesimo che rimane fuori, ti fa stare male. È difficile dire di no a cose buone; se va bene e trovano l’editore e pubblicano, sono contento.
Quando non riescono a pubblicare, ci rimango davvero molto male.

Beh, magari l’undicesimo diventa il primo dell’anno successivo!

Veramente abbiamo quasi finito anche il 2023.

Qual è la fase che preferisci della pubblicazione di un libro?

Io non mi occupo di editing, non lavoro io sul testo, però forse è quella la parte più bella, quel processo lì è il più costruttivo. Io mi occupo di impaginazione e per alcuni libri ci ho perso proprio la testa, non pensavo nemmeno di essere in grado di fare un lavoro così strutturato con lo spazio sulla pagina. Poi sicuramente è bello quando nasce la copertina, le fasi creative sono belle. Quando vai a prendere il libro dal tipografo, si è un po’ realizzato un percorso; quando arrivano le prime recensioni e sono belle, i primi dati di vendita e pare che il libro vada bene. Se ti devo dire che c’è una parte noiosa, ti direi solo le solite scartoffie.
Fare l’editore è la cosa più bella del mondo, se ti piace leggere.

La tua è una professione millenaria. Ci sono luoghi comuni di cui è difficile liberarsi?

“Ho smesso di resistere quando ho aperto questa libreria”
Io odio quando purtroppo il librario deve essere coraggioso, resiliente, che resiste, che sta lì’ a combattere, perché siamo presidi di cultura, dobbiamo essere tristi ed essere aiutati, la retorica del “dovete darci una mano”. Questo tipo di narrativa non mi piace. Io sono felice, questo è un sogno diventato realtà. Sono felicissimo di fare questo lavoro, di poter vivere con il mio lavoro senza problemi, metterei la firma per farlo andare avanti come sta andando adesso.
Dovremmo iniziare a comunicare la gioia di fare il libraio, perché se il libraio è triste, il posto è triste e quindi le persone quando entrano devono scontrarsi con questo malessere. Invece la libreria è un posto divertente, dove si incontrano persone divertenti, dove parlare con altre persone che condividono la tua passione, dove io stesso ho conosciuto autori, libri e case editrici che non conoscevo.
Raccontare la libreria e il fare il libraio in questo modo così negativo è un po’ una colpa collettiva. Perché interessa di più la storia del libraio che viene dalle saittelle che il contenuto, la proposta in libreria o quella editoriale.
Una volta mi fecero un’intervista , e volevano raccontare questa storia del libraio che resiste, che è resiliente. Io dissi di non voler raccontare così la mia storia, cioè io ti dico che ho smesso di resistere quando ho aperto questa libreria, ho smesso di resistere e mi sono aperto al mondo, sono felice.
Quest’articolo poi non uscì, perché la giornalista non voleva raccontare quella storia in quel modo. Il libraio deve possibilmente stare in periferia, in una zona brutta, frequentata da brutti personaggi che poi la libreria redime. E io non voglio iscrivermi in questa narrativa anche se mi potrebbe aiutare a livello pubblicitario, finiremmo sui giornali. Quando ero ancora con Ad Est dell’Equatore, stavamo a Ponticelli, e noi siamo rimasti incastrati in questa narrativa del fiore nel deserto. Per un periodo eravamo su tutti i giornali, un fenomeno culturale che veniva dalla zona di spaccio, dove si spacciava ma si vendevano anche libri. Che è una storia troppo facile da raccontare e alla lunga mi aveva stufato, perché poi dei libri non si parlava mai, ci si centrava sul fatto che fossi a Ponticelli a fare libri. Il fatto poi che fossimo nel retrobottega della sartoria di mia madre li faceva impazzire. Dopo un
po’ non ne potevo più e me ne sono andato. Io volevo parlare dei libri e non di me, che vieni da una zona e fai i libri lì. I giornalisti vanno trovando la storia di resistenza e resilienza. Anche i libri hanno questo problema. I libri che arrivano alle case editrici parlano sempre delle stesse cose. Diventa un problema che non ci fa uscire da questa narrazione perché, se anche il libraio, l’editore indipendente, usano questo per avvantaggiarsi, si fa difficile. Cioè, perché allora il macellaio che usa solo carni allevate biologicamente non viene descritto come resiliente e resistente, come uno testardo che tiene in piedi il proprio posto? Perché questa retorica che gira intorno ai libri deve essere patetica? Poi magari ci sono pratiche dietro questi editori che sono discutibili, come lavoro non contrattualizzato oppure delocalizzazione, o ancora editoria a pagamento.
Che poi, per questa logica, se un giorno una persona apre una libreria, in quel momento diventa automaticamente un esempio? Può anche essere un esperimento fallito, di una persona senza conoscenza del settore. Mi dà fastidio l’automatismo libreria = presidio culturale oppure libraio = martire. Ci sono editori che se la cantano e se la suonano ma poi si fanno pagare 2000 euro da studenti universitari per stampare. Che coraggio c’è dietro l’editoria a pagamento?
Se ti vuoi raccontare così ti metti in un’ottica di essere un cavaliere senza macchia e pure quello è un problema, perché non esiste oltretutto.
Tutto questo viene anche da errori passati.
L’altro giorno Ferruccio Mazzanti, in macchina, mi ha detto delle cose che mi hanno fatto riflettere. Parlava di come è difficile, senza entrare nella retorica e nel luogo comune, spiegare ad un ragazzo perché è importante leggere. Mazzanti diceva che leggere è importante perché ti fa mettere da parte te stesso, ti insegna l’empatia. L’esercizio della lettura quindi è fondamentale per esercitare democraticamente il tuo essere cittadino. Se non impari l’empatia, magari (indica una macchina
fuori dalla libreria) parcheggi davanti alla discesa del marciapiede, che serve agli altri cittadini. Leggere ti aiuta ad essere più empatico. Ovviamente, deve anche piacerti, ma è un esercizio necessario.
Mi piace molto questo concetto di utilità della lettura.
Poi, come far affezionare un ragazzo alla lettura, non lo so ancora.
C’era uno molto più famoso di me che diceva che il verbo leggere non tollera l’imperativo. Obbligare a leggere te lo fa schifare, specie se chi obbliga non ha mai letto niente. Sono quelle stronzate che spesso i docenti dicono ai loro alunni non avendo letto loro in primis, o come i genitori che mi chiedono libri per i loro figli per convincerli a leggere. Spesso rispondo “ma voi leggete? E se non leggete, ma vi stimate comunque come persona, perché vostro figlio dovrebbe leggere se non lo fate voi?” Paradossalmente, in quest’anno di pandemia forse ho davvero capito che la libreria ha una vita lunga, perché anche senza presentazioni siamo riusciti ad andare bene. Solo il periodo di Natale ci ha penalizzato un po’. Ma comunque siamo ancora qua.

Che ruolo ha avuto la tua libreria da quando ti hanno poi permesso di aprire? Come ha reagito la comunità?

Ricordo che durante il primo lockdown chiedevo ai nostri affezionati di non dimenticarsi di noi, mettendoci a disposizione per consegne a domicilio. Fu un post con molti mi piace, risposte di gente che poi non ho visto né prima del lockdown né da quando ho potuto poi riaprire. Secondo me è sempre lo stesso luogo.
Ci sono le stesse persone di prima, con alcune aggiunte. Tu ad esempio ti sei aggiunto perché hai amici che vengono qui, ti ha incuriosito.
L’aggregazione si è creata prima di questo momento, è un luogo dove si creano tante connessioni, dove i miei lettori e clienti mi hanno fatto scoprire autori e autrici che prima non conoscevo. C’è bisogno sicuramente di credere nel progetto della libreria acquistando i libri, in modo da creare un luogo di cultura condiviso. Spesso mi capita che i miei clienti mi chiedano di fare la presentazione di un autore/trice che gli interessa molto. Sabato 12 giugno eravamo 70 persone per un autore bravissimo -Ferruccio Mazzanti- ma ancora sconosciuto; di Firenze, quindi non era della zona ma ha avuto comunque una grande risposta. Mi ha emozionato molto vedere tante persone venire in libreria per il piacere di condividere una passione. È veramente una cosa costruita insieme. La libreria è mia ma ti assicuro che sono tantissime le persone che contribuiscono alla costruzione di questo posto. Editori, clienti e autori. Ad esempio, l’altro giorno una mia amica mi ha consigliato la casa editrice Readerforblind.

Quindi è un posto, potremmo dire, decentrato: tu sei il proprietario ma è una concertazione di idee e di sforzi che portano Wojtek ad essere quello che è . Mi verrebbe da dire che è post-moderno fino al midollo, un posto dove le persone si incontrano e costruiscono insieme la libreria che vogliono frequentare, ritornano ciclicamente a dare un contributo e a vivere questa realtà.

Sì, spesso li coinvolgo per avere dei consigli. Se viene un nuovo cliente e chiede un parere, un suggerimento, i miei clienti affezionati mi danno una mano perché conoscono bene i nostri libri e la nostra offerta.
È un po’ la tana dell’orso, ma ci viene tutta la foresta.

– Grazie Ciro per quest’intervista
– Grazie a te.
Mo ce fumamme n’ata sigaretta!

INTERVISTA DI ALESSANDRO DI PORZIO