Le vite degli altri abitano la mia. Questo il verso di Paola Nitido, inciso sulla superficie del suo libro, come a dirci che non siamo se non nel momento in cui entriamo in relazione con l’Altro, come a volerci restituire l’idea di una presenza incarnata e poi sfumata che si muove nelle stanze, nei corridoi delle esistenze altrui per compiersi nell’atto dell’incontro. Noi tutti abitiamo le vite degli altri, lasciando traccia del nostro passaggio e ci lasciamo abitare per costituirci come individui senzienti e pensanti, per creare un ricordo – alle volte fantastico, altre così vivido da poter essere toccato o attraversato – che perduri oltre la fisicità. Il verso di Paola è in assonanza con la vita e le opere della sua musa e compagna Fabrizia Ramondino e padroneggia in un corsivo armonico sulla copertina di un saggio ibrido, corredato di studi e testimonianze, di articoli, immagini ed estratti di libri. Così viene raccontata e dipinta a tinte fiabesche e al contempo reali perché umane, relazionali, vissute l’immagine caleidoscopica di Fabrizia Ramondino. Scrittore – così si descriveva – militante e sopra ogni altra cosa persona, uno specchio di carne, intriso di rimandi, riflesso di luminosi e ombrati frammenti che ci donano con accurata compenetrazione e simbiotico trasporto le venature di una vita raccontata, percorsa, rievocata attraverso sé stessa e gli altri.

Fin dal titolo ci accorgiamo di come la frammentarietà sia l’elemento chiave del tuo libro. Elemento che descrive la figura di Fabrizia Ramondino e la sua scrittura, mostrando una luce che irradia tutto il testo come a formare un gioco costante e bellissimo di luci e ombre. Il concetto caleidoscopico è pregnante e affascinante. Com’è nato, allora, questo libro su Fabrizia Ramondino?

Questo è un libro che si può leggere come un caleidoscopio. Da un lato ho voluto ricostruire i testi di alcune sue opere per dare luce al suo lavoro e ai suoi libri che per tanto tempo sono stati oscuri al grande pubblico. Dall’altro lato, desideravo riunire i tasselli della sua vita. Una vita che è stata frammentata per la presenza di tante esperienze ma che allo stesso tempo ha restituito l’immagine di una donna forte, libera, indipendente e molto attuale. Oggi potremmo vedere Fabrizia come un’attivista, un esponente del mondo del terzo settore ma in realtà lei nasce come anarchica e diventa un vero e proprio scrittore al pari di Elsa Morante o Anna Maria Ortese. Mi ha colpita fin da subito vedere come contenesse in sé tantissimi elementi differenti e inclassificabili.
Nel libro, verso la fine, avvicino il suo sentimento a quello di Pier Paolo Pasolini in un passaggio estrapolato da un’intervista fatta proprio a Fabrizia in cui dice: «Ma perché si dovrebbe entrare in un solo cassetto? In quale cassetto chiuderesti ad esempio Paolini?». Questa dichiarazione è fondamentale perché lei sapeva che alla critica e agli altri il suo modo di scrivere e di essere, poteva risultare difficile ma è in realtà proprio qui che si racchiude la sua grandezza e la sua contemporaneità.

Come sei entrata in relazione con lei? Perché nutri questa volontà di portarla alla luce e fala conoscere?

Ho scoperto Fabrizia Ramondino a Bologna. Riconosco che questa informazione possa stranire ma in realtà ho cominciato a leggere Althénopis proprio mentre ero lì. A lei ho dedicato la mia tesi di laurea e più leggevo i suoi libri, più mi addentravo e mi riconoscevo, trovavo assonanze. Sulla scia dei suoi legami autobiografici – perché la sua scrittura è modellata spesso in chiave autobiografica – anche io mi sono sentita avvolta da quei legami, soprattutto in relazione ai luoghi. Infatti, Ramondino ha vissuto in tre luoghi a me molto cari: è nata a Napoli, ha vissuto a Portici e si è trasferita a Gaeta.
Tutte queste coincidenze mi hanno fatto sentire coinvolta. Più di ogni altra cosa però è nei suoi libri che ho trovato una risposta per me stessa. Lei è riuscita a fornirmi una chiave di lettura fondamentale: non esistono strade prestabilite, ognuno costruisce il suo percorso, è unico in quanto tale ma anche ricco di sfumature. Walt Whitman diceva «contengo moltitudini» ed è così, noi conteniamo moltitudini nella misura in cui non ricopriamo soltanto un ruolo, non siamo costretti a seguire una sola strada.
L’ho incontrata in un momento della mia crescita in cui sentivo che il mondo richiedeva che ricoprissi un ruolo preciso e percorressi un percorso prestabilito, fortemente specializzato.

Un mondo che vuole apparire per forza integro mentre tu nel tuo libro restituisci valore al frammento come punto di forza dell’umano tutto.

Sì. Noi siamo fatti di frammenti, siamo tutte le persone che incontriamo, i luoghi che attraversiamo e vediamo, i libri che leggiamo. Nell’insieme dei frammenti c’è la nostra persona. Oggi, infatti, il genere dell’autobiografia è essenzialmente frammentato, non abbiamo il racconto di una vita lineare ma spezzettato, impreciso perché soggetto alla memoria, alle immagini, alla somma dei ricordi.
Basti pensare all’attuale vincitrice del premio Nobel per la letteratura Annie Ernaux. È tutto il giorno, infatti, che ci penso. Lei racconta la sua vita, frammentando ogni evento in un libro. Allora scrive L’evento in cui racconta l’aborto, scrive Il posto in cui narra del padre. Oggi noi ci pensiamo divisi. Infatti ho scritto tra le pagine del mio libro: pensarsi divisi per cercare di ricomporsi. Più ti accorgi di essere frammentato, più ne prendi consapevolezza e più cerchi di rimettere insieme quei pezzi. Nel riunire i frammenti della vita e delle opere di questa donna mi sono accorta di quante persone abitassero la sua vita.
Fabrizia aveva una vita collettiva molto florida ed è una cosa che dovrebbe farci riflettere perché, spesso, parliamo di amicizie virtuali, lontane, di contatti passeggeri che sostituiscono quella vita collettiva intensa, quelle amicizie sincere e solide di cui si compone l’esistenza.

L’importanza del ricordo come pratica per non morire. Se vieni ricordato, se lasci traccia di te negli altri non muori, in qualche modo dimori in una dimensione eterna.

Il senso di quel che ho scritto vuole offrire proprio questa idea. Infatti ho inserito due citazioni significative all’inizio di ogni parte. La prima, tratta dal film Nomadland di Chloé Zhao: «ciò che viene ricordato vive» e la seconda di Emanuele Trevi presente nel libro Due vite: «Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene».
Si è così legati ai possedimenti, all’apparenza da dimenticare il motivo per cui realmente vale la pena vivere. La cosa più bella che possa accaderci è quando qualcuno si ricorda di te.

Nei suoi scritti non si percepisce l’artificio; il mistero, respirabile dal suo desiderio di essere inclassificabile non è costruito ma è vivo, sincero.

Sì. Il suo libro d’esordio fu di inchiesta: I disoccupati organizzati a Napoli. Più in là decise di raccontare la sua vita con il romanzo Althénopis uscito nel 1981 (per cui occorre una nota a margine perché non possiamo chiamare a tutti gli effetti quest’opera un romanzo se non attraverso le specifiche di romanzo fiction o romanzo autobiografico). Già dal nome, Althénopis rievoca Napoli, compie un ritorno alla sua città di origine che però rappresenta molto di più. Napoli è essa stessa un caleidoscopio come accade anche nel libro Dadapolis. È già singolare questo suo rapporto intricato e variegato con Napoli, un rapporto presente in tutti i libri e visto da diverse angolazioni, da vicino e dal lontano. Ad esempio, in Taccuino tedesco, libro molto bello in cui racconta degli anni vissuti in Germania, Napoli sopraggiunge come una città balia che non ti dà il primo latte ma che pure non scompare mai dalla sua mente, dai suoi ricordi. È proprio dal rapporto con Napoli e con gli abitanti della città che si avvia il suo esordio letterario, nato attraverso un’inchiesta che ponesse al centro la vita dei disoccupati e continua poi con la letteratura, in un alternarsi continuo tra militanza e fantasticheria, tra impegno e letteratura. Come sostiene Goffredo Fofi, il momento in cui Ramondino decise di scrivere romanzi, rappresenta un elemento di sorpresa. Gli intellettuali del tempo vedevano questo furto da parte della letteratura come una sostituzione di quell’impegno che Fabrizia Ramondino dedicava alla militanza. L’impegno sociale perdeva spazio e veniva occupato dalla letteratura.
Ma in tutto questo c’era un errore perché lei proseguiva in quella militanza e ne accostava una  produzione letteraria diversa, continuava a narrare di sé attraverso gli altri ma lo faceva anche tramite i suoi personaggi, i suoi alter ego. Continuava a essere attiva tra la Napoli dei Quartieri Spagnoli, passava il suo tempo con i bambini dei vicoli attraverso il Centro di coordinamento campano e in quegli anni, anche se non prese parte direttamente all’esperienza della Mensa dei bambini proletari, conosceva gli intellettuali che vi parteciparono e dialogava con quel contesto costantemente.
All’esperienza della mensa era legato ad esempio Fofi ma anche Elsa Morante che venne proprio negli anni de La Storia a visitare la mensa. Ci sono, infatti, anche delle immagini di reportage molto belle in cui si vede Elsa Morante con il suo famosissimo foulard immersa tra i bambini. Il contesto è questo ma cambia sempre perché era in continuo movimento. Non dobbiamo ricordare Fabrizia Ramondino soltanto in relazione a Napoli, poiché ci sono altre esperienze altrettanto importanti come ad esempio gli anni dell’isolamento trascorsi tra Itri e Gaeta, anni molto prolifici dal punto di vista letterario.
Se si osserva la cronologia delle sue pubblicazioni, ci accorgiamo che dopo I disoccupati organizzati e Althénopis, ha scritto tutta una serie di libri completamente diversi tra loro per temi.
Abbiamo il racconto delle donne a Trieste dopo la legge Basaglia presente in Passaggio a Trieste poi In viaggio, Star di casa, Polisario, diario di viaggio in cui è narrata l’esperienza con Mario Martone durante il loro viaggio in Sahrawi e tantissime esperienze e produzioni differenti che raccontano di quanto lei fosse vicina agli ultimi, ai bambini, alle donne, agli emarginati, operai, disoccupati.
Emerge tutta la sua poliedricità, la sua caleidoscopica produzione ma anche il suo caleidoscopico sentire, il rapporto con l’altro è sempre fondamentale per definire sé stessa, per costituirsi in quanto persona.

Fabrizia Raimondino ha un rapporto molto forte con l’alterità, quasi viscerale ed è alla base del tuo libro.
C’è un passaggio di Althénopis in cui lei ne parla esplicitamente quando riferendosi al segno zodiacale dei gemelli dice: «Ma quei gemelli li avrei proprio voluti come segno. Non essere io, intanto, ed essere sempre accompagnata a un altro!». Emerge da questa descrizione immagine così vivida una convinzione: più che essere autobiografie noi siamo eterobiografie perché tutti i tasselli dell’altro edificano sul nostro sentire, sui nostri ricordi, sul nostro io. Quest’importanza del rapporto con l’Altro come si evolve e come si sviluppa nella sua persona e nelle sue opere?

Interessante questo passaggio fra autobiografie\eterobiografie.
All’inizio mi aveva stupita il rapporto di Fabrizia Ramondino con tutta la letteratura femminile e femminista.
Se si parla di donna e di Altra, concetto presente in tantissimi suoi libri, non si può non parlare di tutta la letteratura che considera l’Altra in relazione all’identità. Penso agli studi di Adriana Cavarero e di Rosi Braidotti. Anche Ramondino parla di sé stessa come Altra e del rapporto speculare che vive con gli altri.
Così appare lo specchio e poi il caleidoscopio, costituito da tanti pezzetti di vetro che muovendosi fra di loro rigirano un’immagine sempre differente come differenti sono i frammenti delle nostre immagini quando ci relazioniamo con gli altri. Noi non abbiamo un’identità fissa, immutabile, stabile. La nostra identità si costruisce sulla relazione. Tramite la relazione con l’Altro, io mi posso determinare come persona pensante e senziente. La relazione è imprescindibile per esistere. Fabrizia Ramondino aveva un rapporto molto profondo con gli altri, lo dico proprio all’inizio del libro quando lei stessa cita Alberto Savinio, suo amatissimo scrittore: «Raccontando gli altri, io racconto anche me stesso». Anche in Althénopis, lei si guarda allo specchio e dice: «Chi sono io?». Questa domanda è presente anche in Taccuino Tedesco, quando dice di sentirsi un’Altra nei contesti in cui doveva presentare i suoi libri. Aveva una sorta di timidezza e pudore che la spingeva a entrare in una forma diversa di sé stessa per riuscire a leggere i suoi libri e stare davanti a un pubblico. Fabrizia Ramondino è una persona molto attenta ai significati, all’etimologia delle parole, alla storia che esse racchiudono. Si si sofferma molto sulle costellazioni, sull’oroscopo, si identifica nel segno dei gemelli proprio per quell’alterità insita nella loro raffigurazione e nel loro significato. Si ricerca persino nell’etimologia del suo stesso nome per scoprire poi che significa faber, fare. La sua personalità è analitica, affascinante, intrisa di una cultura strabiliante. Sono molti gli autori che infatti ritornano nei suoi libri: Proust, Omero, Savinio, Kafka, Rilke. La maggior parte degli autori è maschile e questo mi ha stupita. Ramondino non va letta solo in relazione alla scrittura femminile e femminista. Motivo per cui è importante sottolineare che preferiva farsi chiamare scrittore e che non si è mai dichiarata femminista pur essendo sempre dalla parte delle donne.
Questo significa essere anarchici, aperti e inclassificabili ed è per me il valore della sua attualità poiché ai tempi di oggi è molto più facile diventare settoriali, limitarsi a un’etichetta di facciata, cadendo così nella sola manifestazione. Così un movimento fondamentale come il femminismo può diventare marketing mentre in realtà dovrebbe professare quello di cui parla bell hooks quando dice che il femminismo è di tutti e non deve riguardare le sole donne.
La radice delle cose più importanti è stata già ricercata in questi grandi autori della letteratura e in loro si può ritrovare il senso della vita di oggi. Leggere Leopardi nel 2022 può porci dinnanzi a suggestioni e sentimenti facilmente provabili anche da noi. La letteratura ci può dire sentimenti che non hanno a che vedere con il vuoto di certi slogan ma può andare oltre, giungere al fondo, alla radice della  nostra essenza.

FINE PRIMA PARTE

                                                                               SABRINA CERINO