Dallo stadio alla piazza
Il frastuono di una mano sveglia la notte.
I grugniti, gli epiteti la fanno crollare.

(Fare finta di niente…
Gli altri faranno altrettanto).

Ma fuori la paura è esser sola,
con il cuore a sconvolgere il petto,
e la voce che si smarrisce in gola.

(Dallo stadio alla piazza…
Che bestie questi uomini,
quanta violenza).

Il cielo di nuovo anno esibisce fuochi…
Disperazione lacrima dagli occhi,
terrore trema nelle gambe.
Ventose e tentacoli sui corpi,
urla primitive a violentare la mente.

( Ed è stato deciso! Tutti lo abbiamo deciso!
Qual è il posto delle donne).

Lo ha fatto la televisione, i titoli dei giornali,
il silenzio delle poltrone,
l’indifferenza di divise e distintivi.

E se oggi notizia è luce, domani sarà buio,
fino a quando l’attenzione
si volterà per qualcosa
di ancor più grave.

Tre corpi
Quali i vostri nomi,
quali le vostre storie?

I vostri sogni donati al mare.

Quanti i vostri amori,
quanti sospiri regalati alle stelle?

Le vostre speranze spose del mare.
Dove avete mosso i primi passi,
dove è stato piantato il seme
che vi ha fatto germogliare?

I vostri ricordi sepolti nel mare.

Ma, a volte, le onde
accarezzando le coste,
riportano alla luce
ciò che non si vuole vedere.
E quante bende, ancora,
da togliere dagli occhi,
quanta terra e sputo
per liberarne i cuori.

E voi corpi bambini,
cosa fate in questo inferno,
con il volto nella sabbia bagnata…
Non sapete che chi muore senza colpa,
non può avere l’anima dannata?

Tempi di guerra
Venne bussando di notte,
fischiando prima di bruciare i sogni.
Venne a prendersi la libertà,
così come si prendono i pegni.
Cadde sull’illuso, sul codardo e sul forte,
trascinando tutto nell’oscurità
con i buoni abbracciati ai cattivi.
Colpì gli uomini e le donne,
i grandi e i bambini.
E cancellò il tempo, anche se passano i giorni,
con i corpi a rafferddasi sulle strade,
con le speranze a gelarsi al sole,
senza marmo, epitaffio o fiore.
Ma ormai le lacrime più non cadono,
la rabbia più non possiede.
E terrorizza quel silenzio,
quando le bombe non esplodono,
e le sirene smettono di abbaiare,
perché in quell’istante sospeso,
si trema tornando a pensare.

Cittadinanza
Ad ogni risveglio, il sogno
di poter dire che siamo italiani.
Pochi lo possono fare,
e lo hanno sudato questo onore…

Quel pezzo di carta fatelo sventolare,
fatelo sventolare così che tutti lo possano vedere!

Perché camminiamo tra le vie delle nostre città,
sempre con gli occhi addosso,
a pensarci incompleti, ad alienarci, a non darci
i diritti che hanno tutti,
le opportunità che hanno gli altri.
Costretti ancora a lottare,
per poter dimostrare di essere nati
sotto questo tricolore.
Con il pensiero ai sacrifici dei nostri genitori,
a sorreggere questa bandiera, ad accudirla,
nelle fabbriche, nei cantieri, nei campi sotto al sole.
E a quell’ipocrisia che ci accetta
solo quando conquistiamo trofei,
portando questa nazione sul tetto del mondo.
Poi si spengono i riflettori,
e torniamo ad essere la negra,
gli occhi a mandorla, il turbante o il velo,
i terroristi, gli invasori,
ad essere lo straniero.

Ma noi continuiamo a sognare e combattere,
anche quando le lacrime sciolgono i muscoli,
anche quando silenziano i battiti del cuore,
perché saremo i professori, i medici e gli imprenditori,
saremo i politici, del futuro gli eroi.

Fieri lo faremo sventolare
quel pezzo di carta, con forza lo faremo sventolare
così tutti lo potranno vedere.

E già adesso gridiamo con orgoglio,
con tutto il fiato,
che è ora il nostro momento,
che siamo italiani,
che siamo l’oggi
e siamo il domani.