Davide Picardi
Il futuro ancora indugia
La chiave ancora indugia
nel silenzio di un eremo di stanze,
e di sogni fattisi distanti:
un ultimo giro
per sempre suggellare,
nell’ombra di un erebo urbano,
la reietta luce in esilio.
Dopo una resistenza,
tace incagliata, la falena bianca,
tra i fili opachi di vedova nera.
Iris
Mi traggo, con la mano a te aggrappata,
dal teatro delle mie ombre,
dal bianco di caligine soffusa di angoscia.
come apostolo del giorno giungi:
tracciando l’iride,
come pertugio che adduce alla speranza.
Gerusalemme
Lo strazio
solca la terra promessa:
cupole tumefatte
e vite profanate
da mura intrise
di rugiada di sanguine.
una falce
di luna cosparsa di pianto
è genuflessa in preghiera;
e il vespro
sul Sepolcro discende.
Dov’è ora il tuo regno?
Dov’è ora Jerusalem?
Lungo la strada
In sospensione coi miei giorni rossi,
banditi da un mondo in apnea,
una miriade di voci nomadi
giacciono immobili agli incroci scuri.
In sospensione coi miei giorni rossi,
lungo la strada,
volti e parole,
polveri di fotogrammi,
icone confinate nel ricordo,
istantanee di vita vissuta e
insabbiata dal vento tra le dune,
riaffiorano
dall’arsura del tempo; ascendono
all’abbeveratoio della memoria.
Rinascita
Dal baratro letargico riemerge,
come una crisalide fragile,
l’Amore:
di goccia in goccia di amaro pianto caldo,
col core proteso al cielo risorge.
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