*

Il mare qui è un composto semplice, arancio
liquefatto nell’atmosfera, gas che annega
e brucia tutto: questo è l’odore di un’altra
vita, cresciuta al margine di una memoria non mia,
aliena fantasia di un attimo che sposta l’asse
mutando sogni e pianeti, senza distanza.
A volte lo sento in uno svoltare di strada,
appartiene a un passante, al suo stare
in un giorno reale: forse sono tornati
davvero gli dèi e tu non senti più il vuoto
nella pancia ma profumi di miti, stagioni
immortali, eroi che travasano la superficie
nel nero abissale e saltano, di nuovo, per amore.

Isola
Ancora ti guardo ed è l’abisso: i denti si staccano
nel sogno come dadi, il tempo dura il colpo
dell’onda sulla schiena e i rivoli si asciugano,
un estuario che non conduce ma secca.
Ancora in dormiveglia il profilo dell’isola bella,
una striscia compatta di crosta ombrosa
che al tramonto si spegne nel calore
e non brilla più: così si assottigliano tutte
le tue dita posate sul braccio destro, adesso
soltanto umide gocce di vapore, dissolte
in questo agosto torrido di rame.

*

Abbiamo imparato a dormire seduti
in mezzo alla gente bloccati nella tana
selvatica, a spingere per cercare l’uscita
eppure la grande corrente di ritorno
ci tira sempre verso il largo, noi dentro
mulinelli feroci risucchiati via dalla secca,
atomi nel vortice dei mondi, movimento
a ruota sopra un’elica di carta che poi
ti invio dall’Italia con tutte le mie docili
parole intatte. Questo è l’abbandono.

*

Dentro i cortili, i vicoli, le botteghe che adesso
si riempiono di pani, dolci e melograni
abbiamo imparato a correre, ad arrenderci
con dolore e con violenza, siamo stati bambini
per niente: si cresce quando la statura, il peso,
le parole aumentano in progressione e gli altri
ci vedono sbocciare, occupare uno spazio maggiore.
So che non tornerà quell’autunno in cui per rabbia
staccasti dal tronco la corteccia, lasciando
nel pianto una vittima di legno scarnificata:
fosse adesso incollerei la tua schiena al muro
usando la resina di quella ferita, ti fermerei così
per sempre prima che squilli il telefono
tagliando come un’ascia il tuo fusto giovane,
la chioma, le foglie, i rami, con dura precisione.

*

Li rivedi quegli incontri tutti dentro
una notte sola, dilatati dentro un tempo
che non si sfila ma è denso e solido
accovacciato a volte dentro granuli
sordi, a volte disteso – un linoleum
poco pulito. Così sono questi pensieri
che adesso spogliano solo il tuo silenzio
mentre parte un altro treno e tu sei
dentro chissà quale città dolente
senza sorriso, la testa bassa, piegata
annerita dal fumo. Avevi invece
una fronte giovane, due occhi amuleto
e un graffio inguaribile sottile
come bocca – sanguinava bellezza.
Che cosa sono gli anni.

*

I testi qui di seguito sono stati pubblicati sul numero 6 della rivista Poesia di Crocetti-Feltrinelli con introduzione di Milo de Angelis, e sono tratti da una raccolta inedita dal titolo “Prossimo e remoto”.

 

Eleonora Rimolo (Salerno, 1991) è Dottore di Ricerca in Studi Letterari presso l’Università di Salerno. In poesia ha pubblicato: La resa dei giorni (Alter Ego, 2015 – Premio Giovani Europa in Versi), Temeraria gioia (Ladolfi, 2017 – Premio Pascoli “L’ora di Barga”, Premio Civetta di Minerva) e La terra originale (pordenonelegge – Lietocolle, 2018 – Premio Achille Marazza, Premio “I poeti di vent’anni. Premio Pordenonelegge Poesia”, Premio Minturnae). Con alcuni inediti ha vinto il Primo Premio “Ossi di seppia” (Taggia, 2017) e il Primo Premio Poesia “Città di Conza” (Conza, 2018). È Direttore per la sezione online della rivista Atelier. È Direttore delle collane di poesia Letture Meridiane ed Aeclanum per la Delta3 edizioni. Ha curato con Giovanni Ibello Abitare la parola. Poeti nati negli anni ’90 – Ladolfi 2019.

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