Sette porte

Sette chiese come sette porte
quando le vite
dei gatti sono sette, ma anche nove,
sere scese prima del giorno
da varcare tutte invisibili
col mistero delle pietre più piccole
in Piazza Santo Stefano.

Il palco disteso dietro le quinte,
la bicicletta arrugginita,
la sua eco registrata. Un meno
non è mai zero, si vedono
le buche nei giardini
grigio-azzurri sotto ogni arco dei portici.
Lo schermo non tradisce

le stagioni, scosse da un elemento
non in posa. Ora di Bologna
di voce in voce,
di contatto in contatto,
si stringe questo movimento andato:
una foglia più gialla sul cappotto
pendolare senza orologi.

*

Su un grido illuminato

E parlerà dal fondo
il canto d’amore delle sirene
in notti
senza tempo e senza città,
si sdraierà dove la terra
non ha più vene da intrecciare.
Bombe, un lampo su una scatola a pezzi
con pochi oggetti, un gioco lasciato indietro
che non servirà più.
Il coniglio bianco scompare
dentro il cappello, dopo l’ultima
carezza e un vuoto di benedizione
su un grido illuminato.

*

Una punta sul nulla

È un suono più lento sul balcone,
un’antenna, una punta
sul nulla a
posare

in una frattura d’estate
il sapore di una pesca o di un roseto
in fiamme,
a perdere i metri per un’illusione
di forme dipinte nei cieli
di Mantegna, profili sconosciuti
appesi oltre i tetti, al lavoro
senza una protezione.
Ci sono poi le lettere, a parte,
l’alfabeto muto che incrocia
noi per un attimo
in cerca di frasi bloccate
a bocca aperta e pieni
di questa meraviglia,
come gli ingressi sacri
dietro le statue greche,
altre nuvole bianche
che il tramonto svela a colori
antiche e in piedi
custodi del mondo.

*

Non senti il rumore

Non senti il rumore dei cerchi
allargarsi intorno alle piume

cadute dall’alto sull’acqua?
Le briciole del salto
non affondano come i sassi
non smettono mai di
scrivere a margine.

Un poeta irlandese
diceva
che i cigni volano sul lago
tracciando più volte anelli spezzati.

*

Camera con svista

Forse non è un’apertura
di mare, monti e trame luminose
che ci intrappola nella disfunzione
delle parti, dove gli occhi camminano
soli, i polmoni sono la lavanda
nelle rotonde e le ore
si incagliano
nel cucù per la sorpresa di un suono
dal filo rosso,
ma una camera con svista è
la ragione felice

di avere torto,
di girare l’angolo
per non conoscere ancora
la direzione delle tende.
Affaccio e precipitazioni
per toglierci qualcosa a mano a mano
e coprire di vita giorni esposti
al freddo.

Elisa Nanini (8 marzo 1994) è nata e vive a Modena. Laureata in Lettere moderne, prosegue attualmente gli studi umanistici in Italianistica presso l’Università di Bologna. I suoi versi sono stati selezionati nello spazio La bottega di Poesia de «La Repubblica» (Bologna, maggio 2019), nei concorsi poetici Mosse di Seppia Cafè Vol. V (2019), Rimalmezzo (2020), In memoria di Don Carlo Lamecchi (2021), Premio Pordenonelegge Poesia “I poeti di vent’anni” (2021), Biennale di Poesia “Sui Muri di Lavacchio” (2021) e nelle riviste on line «Il Visionario» (2021), «Spine Produzione» (2021) e «L’Altrove» (2021). Ha partecipato al Poesia Festival (ed. 2019, 2020, 2021) e al San Marino International Arts Festival (ed. 2021). Ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie Cosa resta dei vetri (Corsiero Editore 2020), con nota critica di Alberto Bertoni. È stata ospite del salotto digitale «Carta Vetrata» (2020) e di «Hermes Magazine» (2021), testata giornalistica con cui ora collabora.