Alcune poesie di Maria Borio selezionate dalla nostra Annalisa Davide per un’ineditapubblicazione. Cinque componimenti da due sillogi, Trasparenza e Dal deserto rosso: una sintesi, tutt’altro che esaustiva, della potenza con la quale la poetica dell’autrice, cuce l’una e l’altra opera.

da Trasparenza (Interlinea Edizioni, 2018)

1980
La provincia si è riempita di case nuove.
C’è una felicità. Non eravate ancora nati.
Le case salde di coppie eternabili.

Pensavamo che si espandesse per gru altissime
e alberi trapiantati l’anello di catrame
che terminava nel campo e il campo sereno

come di fronte a uno spettacolo. Dici
non eravate ancora nati, ma esisteva una forma
su cantieri e famiglie: le radici che forzavano,

il catrame, le gru montate, i figli nati,
uno per uno un’automobile, la felicità
come pelle nutrita di un rettile.

Una primavera calda vi taglia adesso
fra le buste della spesa e i bulbi nel cellofan:

ci taglia dove dico guardate il campo con le rovine
delle immagini, il tubo catodico spezzato.

Nel suono fermo della televisione
le case indietro si sbriciolano nel video:

le tiriamo fuori, allacciamo il tetto con il grano.
Senza noi invecchiate come non fossimo nati –

miniatura finita, acqua ragia, ologrammi
dentro tutto il paesaggio.

Miniature 1
Vecchie famiglie – innegabile
che esistano personaggi
come in una tela di Cranach
simile alla mente con i gangli,
le curve. La donna di fronte
ha occhiali grandi, l’uomo

a fianco si chiude, il controllore
scorre in una vita diversa,
passa le dita sulla parete
del cellulare dove scivolano
personaggi tra immagine
e immagine. Le ore sono
tutti voi: entrate, uscite
da una fonte in una nudità
interiore, nel lago dolce
di Cranach per la giovinezza
staccando fili d’erba e molecole.
Cosa stai pensando quando
tra noi e loro minuscoli personaggi
si creano, si staccano?
Vecchie famiglie – quanti siamo,
quanti pixel nell’aria, miniature
sul limite.

Miniature 2
Sei addormentato e respiri
qualcosa di me vicino che scioglie l’aria.
Dai talloni alla fronte
immobile al tuo fianco
nell’idea che sopra di noi
qualcosa – può chiamarsi
Qualcosa – nel buio ci fa levitare.
Nel sogno cammini con la testa all’ingiù.
Nel suono delle fauci – un animale
dorme tra noi – Qualcuno continua…
Siamo in un lago,
ologrammi, in alto la clessidra,
il progetto steso sul pigmento bianco
compone al rallentatore
come nella serra la specie monitorata.
E un silenzio… di noi
qualche uomo lontanissimo
prova l’obiettivo, non il buio.

da Dal deserto rosso (STAMPA 2009, 2021)

Ci siamo spogliati, piccoli bulbi rossi
da premere nella terra. Se ci proteggiamo
le radici si allungano, ci trasformano…
Siamo i giardinieri, gli allevatori. Nella pancia
gli altri germogliano, il nostro amore li bagna:
fa sperare, senza pudore? Non esiste felicità,
ma qualcosa che potreste capire quando le persone
condividono uno spazio – noi è tutti a volte,

un sogno: oggi affondare, domani riemergere?
Il giardino è il vuoto e il mondo: tagliate i rami,
gli sguardi cattivi, strappate via le parole-foglie.
Non esiste felicità, ma qualcosa senza pudore:
piantare, allevare. Proteggersi fa spazio?
Senti adesso come si muovono i bulbi, le cellule,
il calendario gregoriano senza una variazione?

Sono fragili queste primule rosse,
le hai piantate accanto al granito. Mi scrivi,
i ricordi più densi tornano al nord: un campo
cosparso di pietre e altra terra leggera
in mucchi grandi quanto mele, fiori coltivati.
Hai bisogno di una fede per toccare le foglie
sopra i morti? Qualcosa pettina l’erba
e non è il vento: siamo noi, un peccato buono
come le primule ancora chiuse di serra
che resistono nell’inverno tedesco, nel suo orgoglio
che ama o odia, nessun compromesso. Anch’io
sono il fuoco e la durezza, li difendo. Ma tu
dici: è aprile, non confondere la natura
nei suoi colori, i miti che riconosci,
l’elegia nel sud.