Pasquale Sbrizzi, classe 1993, è un poeta napoletano e redattore di Mosse di Seppia, giovane autore dell’opera Psicorama (2021), edita da Homo Scrivens. La silloge, pubblicata da pochissimo, è il prodotto di uno scavo interiore che prende forme liriche nei versi suggestivi di questo poeta, e prende plasticità nelle diverse forme vegetali, animali e minerali che fanno del mondo un posto vivo e morto insieme. Abbiamo intervistato Pasquale, per ascoltare dalla fonte primaria di questo primo volume poetico le coordinate del suo viaggio, che è poi anche il viaggio di ciascuno nei meandri dell’esistente.

Psicorama è un’opera dalla struttura complessa, con una divisione in atti e transizioni, come un insieme tra ritmo teatrale e evoluzione naturale. Com’è nata quest’opera, cosa ti ha ispirato?
La lettura delle opere di Primo Levi, l’analisi della produzione poetica di Eliot e l’esperienza dei Poetry Lab tenuti da MDS hanno contribuito notevolmente al concepimento di Psicorama, che è, sostanzialmente, un’autobiografia in frammenti, la narrazione di una persona comune dalle problematiche comuni attraverso
la lente della sua curiosità e dei suoi interessi culturali: l’opera, infatti, condensa in un centinaio di pagine un corpus variegato di immagini che spazia tra etimologia, biologia, chimica e, soprattutto, mitologia, l’apporto più consistente.
L’elemento di coesione di questo collage poetico è rappresentato dal quattro, numero perno e cardinale della civiltà occidentale che, con i suoi divisori e multipli, costituisce a tutti gli effetti lo scheletro della silloge.
Dal punto di vista simbolico, il quattro è un numero molto potente in relazione allo spazio, al tempo e alla materia: basti pensare ai punti cardinali, le stagioni, i quattro elementi e gli umori della medicina ippocratica.
Persino il titolo dell’opera nasconde la presenza di questo numero: Psi-co-ra-ma, le sillabe sono quattro.
L’immaginario alchemico, con il suo complesso sistema di linguaggi misteriosi e la tenace dedizione dei suoi adepti verso il traguardo irraggiungibile e perfetto della Pietra Filosofale, è stato anch’esso un’ispirazione fondamentale: gli intermezzi di Psicorama fanno eco alle quattro trasformazioni della materia prima della Grande Opera: nigredo, albedo, citrinitas e rubedo.“L’Uno diventa Due, i Due diventano Tre, e per mezzo del Terzo il Quarto compie l’Unità” recita Maria la Giudea, grande alchimista dell’Antichità.
Psicorama s’imposta come una ricerca spasmodica di equilibrio, quindi, dal mio punto di vista, di una personale “perfezione”: un processo poetico che si concretizza attraverso un faticoso tentativo d’armonizzazione dell’io microcosmico con il macrocosmo naturale e le sue componenti, comprese quelle nocive e lesive per l’uomo, le quali, essendo anch’esse particelle del nostro mondo, meritano considerazione e rispetto.

In molte delle poesie riecheggia lo stupore per la bellezza della natura anche nei suoi dettagli più semplici; in altre l’oscuro della rovina, della decadenza e dell’intossicazione la fanno da padrone.
Incanto e orrore. Come si conciliano queste due dimensioni nella tua attività di poeta?
Incanto e orrore, come ci insegna il Romanticismo, sono accomunati da un denominatore comune: lo stupore. Sia nelle impressioni mediterranee di Rosmarino quanto attraverso la devastazione cosmica di Nana Bianca, il messaggio che ho tentato di veicolare è sempre lo stesso: siamo un minuscolo frammento del
Tutto, e questo Tutto merita di essere conosciuto, compreso e rispettato con tutte le sue meraviglie e con tutti i suoi orrori. “Meraviglie” ed “orrori” che, ci tengo a ribadire, sono però sostantivi coniati dall’uomo: la Natura non è di per sé buona o cattiva, crudele o benefica, ma, semplicemente, è, e sta a noi coglierne la poesia.
Tralasciando la componente dello stupore e addentrandoci nella galassia dell’intimità, comunque, in Psicorama, come dichiarato nell’incipit dell’opera, ho cercato di strutturare una narrazione omnicomprensiva: penso che la vita di ogni essere umano sia fatta di momenti belli e di momenti brutti e che entrambi siano degni di essere modellati in poesia. Nonostante ciò, mi ritengo personalmente più efficace quando sento di dover esprimere in versi negatività, violenza, oscurità e claustrofobia piuttosto che luce, sole e scenari positivi.
Questione di indole, suppongo.

Alcune liriche portano il nome e sono di fatto un richiamo del noto bosco cittadino dei Camaldoli. Qual è il tuo rapporto con questo luogo? Cosa rappresenta per te?
Il bosco dei Camaldoli è un luogo che mi sta particolarmente a cuore: per me rappresenta la spensieratezza dell’infanzia e, in generale, il rifugio tranquillo per antonomasia. Prima che, ahimé, venisse chiuso, ci andavo anche solo per il piacere di godermi un bel libro all’ombra dei castagni. Poeticamente parlando, poi, riveste
per me un ruolo molto significativo: è il luogo dove hanno preso forma i miei primi versi.
Gran parte della sezione Vegetalia, con il suo tono un po´ più rilassato e contemplativo rispetto agli altri tre atti di Psicorama, è frutto di passeggiate e letture nel bosco dei Camaldoli.

Com’è nata l’esigenza di pubblicare un’opera? Quando hai scoperto di poter essere un poeta? Cosa diresti a un giovane poeta con le mani in pasta alla sua opera prima?
La poesia ha sempre rappresentato per me una strategia artistica per conferire struttura ordinata al magma ribollente di un’emotività caotica, concezione che caratterizza anche Psicorama: non riconduco quindi la mia agnizione poetica ad un momento particolare, quanto piuttosto alla progressiva consapevolezza del mio
bisogno di raccontarmi in versi come individuo.
Ad un certo punto, ho semplicemente sentito la necessità di condividere questa mia visione con il mondo per donargli una frazione infinitesimale di arte in più: se un artista ritiene di aver prodotto qualcosa di soddisfacente, è bene che la sua opera veda la luce e che non resti a sciuparsi in un cassetto.
Cosa direi ad un poeta in erba? Gli suggerirei innanzitutto di essere fedele alla propria sensibilità e di mettersi a nudo il più possibile: il linguaggio poetico più eloquente ed efficace è quello che racconta le nostre passioni e le nostre fragilità con onestà, senza difese. Lo inviterei, infine, a confrontarsi con gli altri artisti
con umiltà.

L’ultima lirica, “Parsec”, chiude questo intenso viaggio nel mondo terreno con un volo verso le stelle.
C’è la fine del principio, ma anche l’inizio di un nuovo viaggio. Cosa dobbiamo aspettarci prossimamente da Pasquale Sbrizzi poeta e autore?
Il trimestre settembre-ottobre-novembre 2021 è stato molto pesante per me dal punto di vista psicologico ed emotivo. Questa pressione, tuttavia, non si è rivelata soltanto nocumento: ha innescato uno stato di frenesia creativa tale da permettermi di ultimare una vecchia raccolta poetica e addirittura porre le basi di una terza.
Versi a parte, comunque, spero di poter dare presto voce alla mia prosa: oltre a cimentarmi nella poesia, infatti, scrivo anche racconti, principalmente horror e dark fantasy.
Insomma, di storie da raccontare ne ho ancora tante.

 

INTERVISTA DI YASMIN TAILAKH