In questo secondo incontro, la rubrica SegnaLibrai intervista la libreria LibriDO di Via Nilo.Tra le strade strette e piovose di una Napoli autunnale, scorgiamo le sue vetrate illuminate e veniamo abbracciati dalla sua veste mitologica e creativa che riscalda la nostra anima umida. Questa creatura fanciullesca ci pone in contatto con la figura timida ma eclettica di Roberto, un libraio sui generis in grado di introdurci nelle tortuose vie dell’editoria con sguardo lucido e al contempo trasognato. L’incontro si apre all’insegna del destino, più ci addentriamo nella storia della libreria, più scoviamo il suo carattere magico, la sua identità ibrida e ospitale. Quest’intervista è fedelmente ispirata alla poliedricità del luogo con cui siamo entrati in contatto, è l’intreccio di più archi narrativi, un’intervista racconto che cerca di coniugare il carattere prosastico e tecnico con il dialogo amichevole e stimolante.

Com’è nata la vostra libreria?
“È difficile ricordare esattamente la nascita e il percorso perché sono passati quattordici anni ma come tutte le cose belle, posso dire che è nata un po’per caso. In quel periodo non sapevo bene cosa fare della mia vita e incontrai sulla mia strada quelle che allora si autodefinivano medie piccole case editrici. Queste realtà avevano esigenza di trovare degli spazi in giro per le città e cercavano delle persone conosciute o sconosciute che in qualche modo trasmettessero fiducia. Cercavano spazio per proteggersi dagli squali editoriali e multimediali. A quei tempi, non era ancora Amazon il problema ma Feltrinelli che massacrava (e continua a farlo) le piccole realtà editoriali attraverso un sistema di sconti. La vera storia della nostra libreria, però, nasce grazie ad un suggerimento improvviso offertoci da una nostra cliente che non solo ci disse di interessarci ai libri pop up ma ci suggerì di recarci alla Fiera del libro di Bologna.”

La nostra intervista si muove attraverso un dialogo pregno di coincidenze e segni del destino. Mentre dimoriamo tra gli spazi della libreria, siamo spettatori di incontri umani. Il destino, dunque, muove gli accadimenti e ci fa incontrare la signora Annamaria Monaco, scrittrice e artista (avida lettrice e cliente della libreria) che molto tempo fa offrì un altro punto di vista a Roberto, rivoluzionando e vitalizzando il suo mondo. Si innesta così un dialogo a più voci che mescola arte, ricordi, libri e consigli. La musica continua a suonare pezzi di cantautorato e noi ci sentiamo totalmente trasportati e avvolti dallo slancio etereo
dell’innamoramento.

Chiediamo a Roberto di raccontarci di questo incontro
“La signora Annamaria si colloca perfettamente nella nostra storia. Avevamo una libreria a via San Sebastiano molto piccola e la aprimmo senza arte né parte, senza conoscenza reale ma con l’idea di essere sostenuti da case editrici piccole (parliamo di Minimum fax, E\o, Marcos y Marcos) che avevano iniziato a
smuovere qualcosa nel panorama della letteratura italiana. Massacrate da un unico agglomerato distributore e promotore, queste piccole realtà venivano aggredite da veri e propri squali editoriali e trasformate in un non numero, giungendo quasi all’estinzione. Possiamo dire, infatti, che i librai indipendenti non esistono più e
sono incapaci di concorrere. Il problema è che i grandi numeri, operano da grandi squali e vogliono mangiare e uccidere un non concorrente (e a sua volta, come sta già accadendo, verranno mangiati da uno squalo ancora maggiore che li distruggerà, vedi Amazon). Questi concentrati editoriali continuano ancora con quell’inutile sistema di sconti che considera il libro solo come un prodotto da scontare. In questo modo si finisce per non vendere più i libri e si impoveriscono gli scaffali. Le nuove generazioni (mi riferisco a dieci anni fa ma è un discorso traslabile anche nel futuro), non si rendono conto di quel che sta accadendo e
cominciano a pensare che la libreria sia solo la vendita di mille copie dello scrittore di turno mentre il libro più ricercato (tolto dal mercato troppo presto) sono costrette a cercarlo e ordinarlo altrove perché diviene introvabile. Qui subentra Amazon che non solo ti trova il libro ma te lo spedisce anche comodamente a casa.
È un gioco a perdere. La grande libreria pensa allo sconto invece di fare una libreria figa, indipendente e ricercata (molte delle librerie bellissime sparse per il mondo, per quanto belle non sono davvero indipendenti) ed è per questo che, vedendo come andavano le cose, ad un certo punto, ho deciso di non
dovermi più arrabbiare ma pensare di più a me stesso, incanalare tutte le energie nel mio progetto, assumendo un atteggiamento più disincantato, certo, ma anche più pacifico. Grazie alla signora Annamaria che ci parlò di libri pop up e ci consigliò di andare a Bologna per la Fiera del Libro dell’infanzia e dell’illustrazione, abbiamo delineato il nostro progetto. Questa fiera si tiene ogni anno ad aprile e dal punto di vista delle case editrici presenti sugli stand è pazzesca. Non può essere paragonata a quella di Torino perché quella di Bologna è più internazionale.”

Parlaci, allora, della Fiera di Bologna.
“Inaugurata a Bologna trent’anni fa, luogo in cui c’erano case editrici e librerie per ragazzi, la Fiera nasce lì perché le case editrici italiane, forse non famosissime ma capaci di fare un lavoro più capillare e significativo, sono riuscite a crescere e a portare illustratori di tutto il mondo provenienti dall’America all’Arabia. Al suo interno, si trovano stand più conosciuti, dai Barba Papà a Harry Potter, illustratori che portano i loro disegni, manager che vendono e comprano e le più grandi produzioni non solo dell’infanzia (più ludiche o didattiche) ma anche di illustrazione, veri e propri capolavori artistici. È un mondo bellissimo in cui ci siamo trovati quasi per caso e che ci ha spinti a ritornare ogni volta. Alla fiera c’è una gioventù incredibile, una grande umiltà e felicità. Incontri personaggi molto famosi e acclamati nel loro campo che si muovono tra gli stand in maniera normalissima, cercando di non attirare l’attenzione. Si percepisce questo clima disteso, privo di autocelebrazione. Il mix di esperienze vissute e realtà conosciute mi ha spinto verso la creazione di una libreria che sapesse esprimere tutte queste caratteristiche anche se c’è ancora molta confusione riguardo il campo del libro di illustrazione.”

Cosa intendi? Cosa ha significato per voi la creazione di un luogo del genere e l’esperienza della Fiera?
“Inizialmente non si capiva bene dove classificare il libro di illustrazione, lo si poneva in uno stato margine tra il libro per bambini e quello degli adulti ma col tempo, grazie anche alla Fiera, ho capito che è totalmente inutile categorizzare ogni cosa. Qui in negozio ho un Abecedario di un’artista francese Marion Bataille, un progetto grafico stupendo che non rientra nell’illustrazione di infanzia ma che rappresenta, a pieno titolo, questo discorso sull’inutilità della categorizzazione. La stessa artista ha progettato poi un’altra opera sempre di grafica in cui parla di oggetti illustrati indefiniti, gli UPO (Unidentified Paper Objects). Ho trovato questo libro geniale perché sono anni che mi chiedo che libri vendo, quale sia il mio target e imbattendomi in quest’opera grafica, l’ho capito: vendo UPO, libri che sfociano nell’indefinito e vendo anche libri per l’infanzia, o meglio la mia compagna, Manola, vende libri per l’infanzia. La libreria, infatti, è cresciuta grazie soprattutto al suo apporto. Essendo laureata in pedagogia, non solo si è trovata a suo agio in questo mondo ma lo sa usare meglio di me. Io vendo libri di illustrazione, libri che mi piace chiamare fighi ma che appunto, si pongono sul limite dell’indefinitezza mentre lei scova il carattere tecnico di ogni libro che vendiamo, dirige il cliente verso il target di età che cerca, conosce la storia di ogni libro e sa perfettamente dove è collocato. Manola è la perfetta incarnazione del libraio e sa direzionare anche le mie mancanze. Io non parlo molto di libri, lo scambio più intenso avviene con lei, diviene difficile separarla dai clienti perché si perde. Me ne accorgo perché molti di loro richiedono la sua presenza ed è una forza fare squadra in questo modo. La fiera quindi ha significato questo, capire quello che volevamo essere e quello che volevamo vendere. Io sono nato e cresciuto con i classici dell’economica Feltrinelli che in realtà mi occupava spazio e non mi faceva guadagnare. Spesso passavo le ore a consigliare libri o a spiegarli per cercare di venderli, invece adesso vendo delle esperienze, dei libri che si vendono da soli e che io chiamo i “libri del wow”. Ho capito che desidero vendere progetti su carta, emozioni, libri che quando li guardi, ti lasciano estasiato.”

Come vi orientate, allora, verso la scelta dei libri o delle case editrici?
“Spesso ci aiutano proprio i clienti, perché ci portano a contatto con mondi che non conosciamo ma avidamente e curiosamente vogliamo conoscere. Non riusciamo a stare dietro a tutte le novità proprio perché spesso sono proprio i promotori che non sanno muoversi. Capitava che fossi proprio io a far conoscere ai promotori opere sconosciute ma belle. Il mondo della promozione è terrificante, non l’ho ancora ben capito.
Vendo molto libri di catalogo, libri belli e spesso sconosciuti che gli editori non considerano nemmeno perché preferiscono vendere la novità. Se la novità non è allettante ma riescono a venderla sono molto più felici. È un controsenso per me preferire vendere due novità piuttosto che dieci titoli interessanti del catalogo ma così funziona. Forse la risposta risiede nel tipo di investimento che si fa a livello pubblicitario o nella domanda ma dopo tanti anni ancora mi stupisco e non comprendo questo meccanismo. Ci sono però anche promotori che adoriamo e con cui intessiamo rapporti meravigliosi come il promotore de L’Ippocampo che
viene spesso a Napoli e fa una promozione personale e affascinante. Quando entra in libreria con il suo accento, un misto di francese e inglese (italianissimo in realtà), si ferma il tempo. Più nello specifico, seguo molto le case editrici e quello che creano, osservo il loro catalogo e mi fido e affido. Ad esempio, Orecchio Acerbo, se edita qualcosa che ritengo interessante, la ordino o L’ippocampo che ha acquisito una collana di atlanti illustrati dalla Bompiani e l’ha trasformata in qualcosa di pazzesco. L’atlante delle isole remote, cinquanta isole dove non sono mai stata e mai andrò di Judith Schalansky edito dalla Bompiani diede inizio a queste pubblicazioni particolari e strane che chiamerò sempre UPO. Alla fine L’ippocampo decidendo di acquisirle, ha creato progetti editoriali fenomenali. Potrei fare un altro esempio con il libro sempre edito da L’ippocampo, Mistero nella casa di bambole di Vita Sackville-West, commissionato dalla regina Maria che ebbe in regalo una casa delle bambole e desiderava inserire all’interno una serie di librettini inediti. Chiese, quindi, a tutti gli scrittori inglesi di scrivere un libro, scritto poi da Vita Sackville-West che seppur cedendo alla vanità della regina (che decise poi di vendere la casa), fece trasparire tra le pagine l’importanza della libertà e del senso della vita. Il libro composto da illustrazioni in stile liberty aggiornate perché quelle originali risalgono agli anni venti, narra la storia di una casa di bambole infestata dal fantasma di una bambola che viaggia nel tempo e incontra personaggi come Shahrazād o Dante. Questo libro si colloca nell’indefinitezza, è un UPO perché non ha un target preciso (potrebbe interessare e affascinare adulti e bambini indistintamente) e si accosta a quella lista di libri editi da L’ippocampo come Cottage Garden o il libro in uscita sui luoghi e i giardini di Emily Dickinson o alla linea editoriale di Minalima o della Tara Books, libri indiani serigrafati a mano dal grande valore artistico.”

Il fitto e interessantissimo dialogo instaurato con Roberto, ci ha spinti a suddividere l’intervista in due parti. Vi invitiamo a restare sintonizzati con noi, per leggere altri dettagli e aneddoti di questa bellissima storia.

Sabrina Cerino

Ph. Maura Marino