In quest’intervista esclusiva per il web, MDS annuncia una nuova rubrica: SegnaLibrai! Attraverso interviste e recensioni a librai, editori, tipografi e autori, raccontiamo storie del passato e del presente che animano il panorama culturale, locale e non. Sentiamo la necessità di mostrare l’essenza viva, pulsante e fertile di questo intreccio di anime e mondi che alimenta la pratica della curiosità, crea luoghi di incontri e cultura e permette alla collettività di (r)esistere perché, parafrasando David Foster Wallace, i libri e tutta la buona letteratura affrontano il problema della solitudine e agiscono da suo lenitivo.

Per questo primo incontro intervistiamo la libreria Tamu, un luogo dall’atmosfera multiculturale in cui la parola chiave è Sud. Il progetto culturale e collettivo di Cecilia e Fabiano nasce dall’esigenza di allentare il predominio di un certo tipo di cultura che filtra e soffoca altre infinite e febbricitanti realtà; smussa i saperi precostituiti, offre alternative che danno voce a scrittori e scrittrici, attivisti e attiviste provenienti da altri Sud.
Immersa tra i vicoli del centro storico di Napoli, tra le mura che costeggiano Santa Chiara e Spaccanapoli, la libreria Tamu si offre nella sua vivacissima essenzialità. Al primo sguardo è pervasiva la sensazione di quiete eppure quando lo sguardo cade sui quadretti appesi alle pareti, sui vividi colori delle copertine dei libri e si scorge la selezione dei titoli tra le mensole ecco che esplode tutta la vita nascosta tra quegli spazi.
Cecilia ci accoglie immediatamente nel suo piccolo grande mondo e iniziamo l’intervista con una domanda dal forte carattere identitario.

“Qual è il motivo che vi ha spinti a denominare così la vostra creatura?”
“Il nome Tamu viene da un personaggio di un libro La terrazza proibita di Fatima Mernissi, una sociologa marocchina. Questo romanzo tratta della vita in un harem femminile a Fes. Tamu è un personaggio femminile molto forte che arriva a cavallo con bracciali e borchie e combatte il colonizzatore francese. La figura di questo personaggio è simbolica e lo è anche la nostra scelta. Tamu difende la sua terra e a prescindere da qualsiasi appropriazione culturale, la nostra idea era di dare voce direttamente a chi scrive anche in paesi in cui spesso le cose vengono filtrate attraverso uno sguardo occidentale.”

“Sembra, dunque, che il vostro progetto nasca proprio dall’esigenza di intessere rapporti in grado di superare i confini. Come è nata questa idea? Qual è stato il vostro percorso?”
“Io e Fabiano ci siamo conosciuti all’università di Bologna, lui, di Latina, studiava lettere e io, calabrese, scienze politiche ma la nostra conoscenza è diventata più intensa perché entrambi insegnavamo italiano in una scuola per migranti. Non dai nostri studi ma dalla fruizione di altre esperienze siamo arrivati alla creazione di questo progetto. Fabiano ha lavorato in una casa editrice a Roma e io ho girato tra Egitto e Tunisia, per studio e altri motivi ed è in qualche modo nata così l’idea di portare una produzione culturale che qui non arrivava, come fanzine e fumetti dal Nordafrica, restituendo la voce direttamente a chi scrive.
Abbiamo deciso di non confinare lo sguardo alla mediazione di chi parla di quel mondo ma non ne ha esperienza diretta. Partire da un altro Sud è anche un modo per creare legami e connessioni con tutte le specificità del caso. È diverso parlare del Sud, partendo dal Sud piuttosto che farlo, partendo da una produzione culturale già satura di quello sguardo di cui parlavamo prima.”

“Siamo sempre i meridionali di qualcuno. Come mai questa decisione di far fiorire il vostro progetto a Napoli?”
“Aprire una libreria come la nostra a Napoli non è stata una scelta casuale, anche se non ci siamo giunti subito. Il posizionamento della libreria era essenziale, un luogo che riuscisse a parlare a partire da altri Sud e guardarsi, diramando delle riflessioni già attive in altri luoghi napoletani come il Dipartimento di studi post coloniali e tante realtà che già ragionano su questi temi. Sentivamo la necessità di creare con una rete forte e intensificare le connessioni. Napoli soddisfava a pieno la nostra urgenza di aggregazione.”

“Si evince dal tuo racconto che avete creato una rete molto fitta di rapporti umani e culturali. Che rapporto avete con i vostri clienti e lettori e con attivisti\e, studiosi\e?”
“È una libreria che si rivolge molto a persone che studiano determinati temi, non solo studiosi e studiose dei paesi arabi ma anche a coloro che trattano di femminismo, attivisti e attiviste sensibili ad alcune questioni sociali e contemporanee. È interessante quanto sia fitta questa rete proprio perché spesso la scelta di alcuni titoli del nostro catalogo si arricchisce grazie a lettori che ci aggiornano e propongono testi o attraverso iniziative fortemente radicate nel territorio. Tramite questi rapporti riusciamo a concretizzare l’idea di una continua ricerca e scoperta e soprattutto a soddisfare quel che per noi significa diffondere cultura, stringere legami, avvicinare persone diverse alla lettura e prendere coscienza di quel che vorremmo fosse il nostro rapporto col mondo.”

“A maggio avete scambiato con la libreria Tlon di Roma un libro edito da voi (Laboratorio Favela di Marielle Franco) in cambio di uno edito da loro (Il corpo elettrico di Jennifer Guerra). Che rapporto intercorre tra voi come libreria indipendente e casa editrice e altre librerie e case editrici?”
“Da libreria cerchiamo di prediligere molto le piccole case editrici o quelle indipendenti, con cui proviamo a stringere rapporti diretti. Prediligiamo un rapporto diretto con coloro che vogliamo supportare, soprattutto perché per come è strutturato il sistema della distribuzione editoriale, i rapporti diretti per le piccole realtà indipendenti sono fondamentali per non scomparire, poiché il margine che guadagna un libraio da un libroè veramente bassissimo. Con la distribuzione attraverso il rapporto diretto tra e vantaggio sia la casa editrice sia la libreria.”

“Cosa significa essere una libreria indipendente\ casa editrice in una realtà che viene divorata dalle concentrazioni editoriali? Come si resiste?”
“Come libreria indipendente è rilevante il lavoro quotidiano di relazione con le persone ma è soprattutto necessario darsi un’identità, proprio perché risulta difficile stare dietro alla logica della novità, dietro a un sistema che strozza le realtà indipendenti e il mercato editoriale. È basilare darsi una cornice e cercare di creare e di aprire a occasioni di incontro e scambio a partire dai libri. Vendere un libro significa anche creare opportunità per fare presentazioni, laboratori, conoscersi e incontrarsi. Questa è anche la nostra idea iniziale oltre ad essere la nostra impronta: concepire la libreria come uno spazio aperto in cui è possibile lasciar sbiadire i confini e intensificare il contatto, lo scambio umano. Solo in questo modo, credo si possa cogliere il vero valore e l’autentico obiettivo dell’editoria indipendente e delle librerie indipendenti.”

“Ho letto in rete che vi è stata attribuita la definizione di moderna agorà. Cosa significa per voi la comunità e come si intessono rapporti di fiducia con i lettori ma soprattutto con l’ambiente con cui siete in contatto?”
“Sicuramente la fiducia si costruisce quotidianamente con le scelte che si propongono, i temi e gli autori\le autrici a cui si decide di dar spazio e respiro. Per quanto riguarda la città, penso che la cosa importantissima sia provare a fare rete tra quelle esperienze che portano avanti esempi concreti di cultura indipendente come i presidi sul territorio che offrono un’accessibilità dal basso, dalla strada. Fare gioco forza tra diverse realtà è il motivo che ci ha spinti a creare la rete LiRe con altre librerie indipendenti del centro storico. Questa nostra iniziativa nasce dall’unione di quattro librerie indipendenti del napoletano, con un catalogo molto diverso tra loro, quali la Dante e Descartes, L’Ibrido e Perditempo. Questa rete, nata durante la pandemia è un’esperienza di mutualismo. Abbiamo messo in comune libri del nostro catalogo e diviso i proventi come modo per sostenerci. Il progetto va avanti con presentazioni negli spazi che ognuno di noi ha da offrire e grazie alla condivisione di consigli utili e informazioni pratiche. Il fare rete è l’unico modo per non isolarsi, atomizzarsi e scomparire. È essenziale per non essere fragili e per resistere.”

“Com’è nata l’idea di diventare anche casa editrice? So che avete edito Elogio del margine di bell hooks, titolo emblematico nel vostro catalogo e rappresentativo di quel che è il vostro progetto, che riscontro ha avuto e cosa rappresenta?”
“Nonostante il progetto della casa editrice sia portato avanti più da Fabiano, posso dire che questa decisione è stata la naturale prosecuzione del lavoro che fa la libreria e si esplica anche nei titoli presenti nel nostro catalogo. Nel primo titolo scelto, Elogio del margine appunto, un libro molto richiesto e con un ottimo riscontro, perché non veniva ristampato dal 1998, il margine è inteso come punto di osservazione, come spazio di resistenza per produrre nuovi significati, nuove pratiche; è soprattutto un’opera che comunica tantissimo con il presente. È interessante perché l’autrice non parte da un discorso accademico ma da un percorso di vita, offrendoci una prospettiva chiara di quel che significa vivere davvero “ai margini” e abbracciando tematiche attuali che interessano anche il discorso portato avanti dalle persone italiane private dei propri diritti di cittadinanza. Questo libro parla al margine come esperienza da cui attingere oltre che come esperienza umana direttamente vissuta. Ne consiglio vivamente la lettura, anche perché nella seconda parte intitolata Scrivere al buio c’è un approfondimento, in cui bell hooks dialoga apertamente con la traduttrice Maria Nadotti, adempiendo pienamente a quel bisogno di testimonianza e mostrando come un racconto personale possa fungere da discorso sociale e politico.
Nell’intervista si evince uno scambio umano e culturale molto intenso, pregnante per la nostra scelta di pubblicazione.”

“Ultimamente i temi della società contemporanea, razzismo, femminismo si stanno facendo molto caldi. Hai riscontrato un interesse maggiore, una richiesta più forte?”
“No, non penso si sia ampliato il bacino su questi temi anche perché di base, sono sempre le stesse persone che leggono i libri e infatti il compito più difficile per una libreria o una casa editrice è riuscire a richiamare quelle persone che non sono dedite alla lettura. In Italia si legge pochissimo e in una città come Napoli, l’attitudine alla lettura è veramente un privilegio di pochi perché mancano le condizioni materiali affinché si possa permettere alla pratica della lettura di prosperare. Basti pensare allo stato in cui versano le biblioteche e ai pochi spazi esistenti.
Un lavoro culturale e sociale serio, in questo momento, è proprio parlare dell’accesso alla cultura ed è uno degli obiettivi che il nostro progetto collettivo e culturale si pone.”

“Avresti una top three di libri da consigliare?”
“Così a primo impatto, pensando alle ultime letture, consiglierei L’unica persona nera nella stanza di Nadeesha Uyangoda, uscito quest’anno. Una persona di origini cingalesi nata e cresciuta in Italia che offre una discussione molto limpida sulla situazione della razza in Italia, sul controsenso di una società che finge di non essere razzista ma che poi calpesta i diritti. In Italia il concetto di razza è vivo e l’autrice immette nella narrazione questi temi, ricordandoci attraverso il suo memoire imbevuto di storia personale, cosa voglia dire vivere in un paese apparentemente democratico ma stracolmo di pregiudizi e limitazioni.
Il secondo consiglio riguarda Audre Lorde. Questa scrittrice rappresenta per me una bibbia personale e una guida. Consiglierei gli scritti politici in cui le questioni della razza, del femminismo oltre l’eteronormatività sono affrontate in maniera molto lucida. In ultimo consiglio un romanzo: Salvare le ossa di Jesmyn Ward, scrittrice afroamericana del Mississippi che racconta anche le vicende dell’uragano Katrina e di come a pagare le conseguenze delle catastrofi naturali siano spesso le persone povere. Negli Stati Uniti la problematica economica e sociale si intreccia ad una questione razziale. La sua scrittura cattura perché mescola la tradizione afroamericana con la tenerezza del racconto personale e lo accosta a delle immagini crude, offrendoci uno scorcio delle ingiustizie di una collettività costretta ai margini.”

“Ultima domanda: Avete progetti in programma?”
“Per gli eventi in via di definizione daremo sicuramente notizia tramite i nostri canali social.”

Ci salutiamo così dopo qualche ora, al tavolino di fronte la sua libreria, avvolte dalle vie caotiche a cui la libreria Tamu sa di appartenere e che contribuiscono a portare avanti l’idea di una cultura accessibile a tutti.
Ringraziamo con affetto Cecilia per averci accolto nel suo piccolo grande mondo in cui prospera il concetto di comunità, si allentano le maglie dei poteri forti e si riconosce il valore della collettività. Andiamo via con la speranza che tramite il loro progetto sia possibile tendere l’occhio e la mano ai vicini d’oltremare e immergerci in un bacino immenso di possibilità, nel ventre acquatico della comunanza, nello spazio aperto della piazza.

Sabrina Cerino

Ph. Maura Marino