“TESTA DI SERPENTE”: L’ESPERIMENTO POETICO-INFORMATICO DI DARIO TATANGELO
L’ultima novità poetica della casa editrice Homo Scrivens rappresenta un interessante e innovativo connubio di arte e tecnologia: si tratta di Testa di Serpente, silloge di debutto di Dario Tatangelo, giovane autore napoletano che, attraverso un avanguardistico sperimentalismo che si avvale dei linguaggi della poesia codice e della poesia digitale, si pone, citando la sua corposa introduzione all’opera, il coraggioso obiettivo di “creare un progetto artistico dirompente che abbia una forte continuità con il passato e contemporaneamente se ne distacchi su vari piani creando effetti nuovi e tradizionali tipici della poesia.”
Mosse di Seppia, da sempre attenta alle nuove voci poetiche campane, ha avuto l’opportunità di intervistare l’autore di Testa di Serpente, a cui vanno i calorosi ringraziamenti da parte di tutta la redazione per la sua pronta disponibilità.

Raccontaci un po’ di te: come ti sei avvicinato alla poesia? E all’informatica?
Ho iniziato a scrivere poesie al quarto anno di liceo. Ricordo che era una lezione di greco classico con lettura
in metrica dell’Iliade: le figure di Ettore e Patroclo mi segnarono profondamente ed iniziai, così, a scrivere i primi versi su temi epici e le muse. La poesia mi permetteva di esprimere delle emozioni molto forti che trattenevo dentro di me e che non riuscivo ad esprimere per mancanza di un’educazione ai sentimenti, mancanza che spesso ancora vedo nelle nuove generazioni e che è fortemente presente nelle vecchie.
Vomitavo poesie per liberarmi dai veleni che si auto-alimentavano dentro di me in senso distruttivo e nichilistico: insomma, quelli tipici dell’adolescenza.
L’interesse per l’informatica, invece, è nato da una mia esigenza di capire quel mondo nelle fondamenta.
Lavorando come addetto alla selezione del personale IT (recruiter), non potevo accettare di essere così avulso da quel mondo: così mi misi in gioco per assumere maggiormente quella forma mentis. Un investimento su me stesso!

Versi e linguaggio Java: come mai la decisione di avvalersi di questi due linguaggi per esprimere il tuo sentire e dar corpo alla tua visione artistica?
Più comprendevo basicamente l’informatica, più notavo forti somiglianze con la poesia. Poeti e programmatori sono creatori del mondo: hanno una pagina bianca da cui partono, una sintassi da rispettare, lavorano per astrazione, trascorrono ore e ore davanti ad un testo per poi scrivere o correggere anche solo una parola. Curioso come in inglese il verso poetico si chiami “line“, come le linee del codice. Notando tutte queste similitudini, ho pensato che fosse possibile trovare un’armonia rispettando entrambe le sintassi dei linguaggi per creare qualcosa di nuovo e contemporaneamente estremamente antico. I contenuti espressi invece sono frutto del mondo in cui vivo e su cui vorrei riflettere.

Qual è il fulcro tematico di Testa di Serpente?
Lo scopo è provocare: da una parte stimolare all’arte e alla riflessione i professionisti tramite componimenti poetici che sono essenzialmente micro-pillole di management, dall'altra mostrare agli artisti che l’arte può essere combinata con la tecnologia attuale ed è essenziale farlo. La tecnologia non è buona o cattiva, però lo scarso interesse del sapere artistico verso le criticità tecnologiche conduce a scenari potenzialmente distopici.
Vorrei si superasse in parte un modo di fare arte legata alle Torri d’Avorio e l’isolamento autoreferenziale. Se deleghiamo la scelta del futuro etico della tecnologia solo all’informatica, alla matematica e alla psicologia si perde qualcosa. Potenzialmente la libertà. Per questo l’arte deve vivere anche nella tecnologia per preservare sé stessa e le conquiste che l’Illuminismo, nelle sue declinazioni, ha portato alle nostre società.

Oltre allo stile estremamente originale e caratteristico della tua opera, si notano, accanto all’ampissima gamma di riferimenti storici, letterari e culturali, diversi rimandi al mondo videoludico, solitamente poco presenti nella poesia. Che cosa rappresenta per te l’immaginario del videogioco?
Il videogioco è una forma di intrattenimento come il cinema, i libri, la poesia stessa. La complessità odierna dei videogiochi li rende in certi casi comparabili ai film, quindi, potenzialmente, una vera e propria forma d’arte con una precisa estetica e vari filoni di pensiero, generi ecc. Questo vale particolarmente per i videogiochi indipendenti che esulano dalle logiche commerciali, sebbene ci siano notevoli eccezioni.
Credo che il videogioco costituisca sempre di più un ponte tra persone diverse nel tempo e nello spazio, un terreno comune dove potersi esprimere ed essere valutati per ciò che si sa fare in modo meritocratico al di là degli stereotipi e limiti linguistici. Il videogioco crea una cultura che unisce, come i miti e le storie popolari.
Inoltre credo molto anche nella “gamificazione” (gamification) come metodologia da introdurre nelle aziende sia per il lato formazione sia proprio per creare delle comunità di persone che possano lavorare insieme.

C’è un componimento della tua silloge a cui sei maggiormente legato? E uno che sceglieresti per sintetizzare lo spirito di Testa di Serpente?
Una domanda difficile, un po’come chiedere ad un bambino a quale dei genitori sia più legato. Lo spirito di Testa di Serpente credo sia particolarmente forte nella prima poesia sulla blockchain. In fondo è stata la prima che ho scritto in questi termini più dirompenti. Ci sono, però, anche tante altre poesie a cui sono molto legato, come, ad esempio, quella su Wikipedia e su Alfred Nobel, che pure colgono alcuni aspetti del mio modo di vedere il mondo.
Nonostante tutto ciò, la mia preferita resta sicuramente Gatta: in questo componimento credo di aver raggiunto il picco massimo di sperimentazione. La poesia è scritta solo con cinque lettere (TUACG), che sarebbe una sorta di alfabeto molecolare su cui si basano poi le triplette del DNA e RNA. Per ottenere questo effetto ho creato un linguaggio nuovo in quinari tra italiano, napoletano, inglese e linguaggio inclusivo. Il tema di critica nell’uso acritico dei social si combina con un effetto sonoro che mi sorprende ogni volta.

INTERVISTA DI PASQUALE SBRIZZI