TRE PAROLE SU H.P. LOVECRAFT AD OTTANTACINQUE ANNI DALLA SUA MORTE
Se mai vi trovaste a fare una passeggiata nello Swan Point Cemetery di Providence, capitale dello stato americano del Rhode Island, vi imbattereste ad un certo punto nell’umile lapide commemorativa di uno degli scrittori più importanti della storia della letteratura dell’orrore. Sul modesto epitaffio, realizzato per volontà di suoi estimatori, si legge:

HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT
AUGUST 20, 1890,

MARCH 15, 1937.
I AM PROVIDENCE.

PROVIDENCE: culla e tomba di un visionario
Howard Phillips Lovecraft nacque e morì a Providence, dove trascorse anche la quasi totalità della sua esistenza: questa città del Rhode Island fu, a tutti gli effetti, la sua culla e la sua tomba. Vi trascorse l’infanzia circondato dai libri della nutrita biblioteca del nonno materno, fervente appassionato di letteratura gotica. Il giovane Lovecraft, però, oltre ad essere affascinato dalle fiabe dei Grimm, dalle novelle delle Mille e una Notte, dai racconti macabri di Edgar Allan Poe e dalla narrativa fantascientifica di H.G. Wells e di Jules Verne, dimostrò anche una spiccata curiosità per il mondo della chimica e dell’astronomia: entrambi gli interessi, letterario e scientifico, all’apparenza così divergenti, contribuirono a forgiare la cifra stilistica e filosofica dell’autore di Providence, che, nel corso della sua vita disgraziatamente breve, si arricchì di nuovi, preziosi spunti ispiratori. L’impulso più significativo relativo allo sviluppo della narrativa lovecraftiana fu l’incontro a Boston con Lord Dunsany nel 1919: da quest’ultimo, prolifico scrittore e drammaturgo irlandese, già autore di diverse antologie di racconti fantastici ambientate in un mondo immaginario con storia, mitologia e geografia proprie, Lovecraft ereditò la tematica onirica, elemento che ripropose per tutto l’arco della sua produzione letteraria.

COSMICISMO: l’uomo e la sua insignificanza
“West of Arkham the hills rise wild, and there are valleys with deep woods that no axe has ever cut. There are dark narrow glens where the trees slope fantastically, and where thin brooklets trickle without ever having caught the glint of sunlight. On the gentler slopes there are farms, ancient and rocky, with squat, moss-coated cottages brooding eternally over old New England secrets in the lee of great ledges […]”
(H.P. Lovecraft — The Colour Out of Space, 1927)

Il racconto horror fantascientifico The Colour Out of Space, pubblicato sulla rivista Amazing Stories nel settembre del ’27, si apre con una descrizione di un paesaggio collinare del New England, regione nord-orientale degli Stati Uniti che comprende Connecticut, Maine, Massachussets, New Hampshire, Rhode Island e Vermont. Gran parte dei racconti di Lovecraft, che costituiscono la parte più corposa della sua produzione letteraria, si svolge infatti in una sorta di versione alternativa di questa parte d’America: è un New England di orrori raccapriccianti e leggende sinistre, arricchito dall’invenzione di inquietanti location come la città di Arkham e il villaggio di Dunwich.
A differenza della tradizione gotica, fortemente antropocentrica ed incentrata sul folklore sovrannaturale e le dinamiche oscure dell’inconscio, la narrativa orrorifica di Lovecraft, contaminata da elementi fantasy e fantascientifici, è permeata da una cupa visione anti-antropocentrica, dove l’essere umano, infinitesimale granello organico di un Universo indifferente, è posto al cospetto della sua stessa insignificanza: questo assioma costituisce il perno della filosofia dell’autore di Providence e prende il nome di cosmicismo.
L’irrilevanza cosmica dell’uomo lovecraftiano è incarnata da oscuri esseri ancestrali al di là della sua comprensione, entità extra-dimensionali venerate da culti degenerati e blasfemi in tutto il mondo parallelo immaginato dallo scrittore americano: prende così vita una complessa mitologia orrorifica, popolata dai Grandi Antichi, colossali creature aliene immerse in un sonno letargico nelle profondità più recondite della Terra e di altri pianeti, e dagli Dei Esterni, divinità mostruose, indescrivibili e inconcepibili. Il nostro Universo sarebbe addirittura il sogno del Signore di queste ultime, Azathoth, il Demone Sultano cieco ed idiota che, accompagnato da un’orchestra odiosa e blasfema, farfuglia e bestemmia al centro dell’Universo: un dio remoto e terribile, di cui il tremendo Nyarlathotep è araldo e progenie.
Beyond the worlds vague ghosts of monstrous things; half-seen columns of unsanctified temples that rest on nameless rocks beneath space and reach up to dizzy vacua above the spheres of light and darkness. And through this revolting graveyard of the universe the muffled, maddening beating of drums, and thin, monotonous whine of blasphemous flutes from inconceivable, unlighted chambers beyond Time; the detestable pounding and piping whereunto dance slowly, awkwardly, and absurdly the gigantic, tenebrous ultimate gods—the blind, voiceless, mindless gargoyles whose soul is Nyarlathotep.
(H.P. Lovecraft — Nyarlathotep, 1920)
La potente prosa di Lovecraft, densa e poverissima di dialoghi, è caratterizzata da grande potere evocativo: le descrizioni minuziose e magniloquenti, approfondite dall’uso abbondante di aggettivi, tessono la trama alienante e agorafobica dell’arazzo dell’orrore cosmico, dove il terrore scaturisce non da ciò che si vede, non da ciò che si sa, ma dall’incomprensibile e dall’ignoto: lo stesso autore, nel suo saggio Supernatural Horror in Literature (1927), infatti, afferma: “The oldest and strongest emotion of mankind is fear, and the oldest and strongest kind of fear is fear of the unknown”.
Si tratta di quell’imperscrutabile “ignoto” che il progresso scientifico, nel corso dei secoli, aveva tentato razionalmente di svelare e che, contemporaneamente, aveva ridimensionato la posizione dell’umanità, ridotta a una minuscola colonia di creature senzienti in un universo infinito.
The most merciful thing in the world, I think, is the inability of the human mind to correlate all its contents. We live on a placid island of ignorance in the midst of black seas of infinity, and it was not meant that we should voyage far. The sciences, each straining in its own direction, have hitherto harmed us little; but some day the piecing together of dissociated knowledge will open up such terrifying vistas of reality, and of our frightful position therein, that we shall either go mad from the revelation or flee from the deadly light into the peace and safety of a new dark age.
(H.P. Lovecraft — The Call of Cthulhu, 1928)
Non si può, infatti, disquisire riguardo l’orrore cosmico di Lovecraft prescindendo dal suo interesse scientifico e dalla sua forma mentis di ateo materialista e razionale: così le geometrie non-euclidee della città sommersa di R’lyeh, culla del più celebre dei Grandi Antichi, Cthulhu, divengono fonte d’alienazione ed orrore, e l’agghiacciante spedizione scientifica in Antartide dei sedici esploratori del romanzo At the Mountains of Madness (1936), presentata come resoconto del geologo della squadra, s’imposta come un inquietante monito a non ripetere l’impresa. The Colour Out of Space presenta un entità aliena che spaventa, oltre che dal punto di vista grafico per le grottesche mutazioni innescate sulla natura circostante, proprio perché la sua alterità è talmente estranea da non poter essere in nessun modo spiegata da una prospettiva scientifica dagli studiosi della storia.
Per i malcapitati protagonisti dei racconti del Visionario di Providence, non a caso spesso scienziati ed eruditi, il lieto fine praticamente non esiste: i tentativi di carpire la conoscenza proibita e le verità che mettono in moto gli ingranaggi dell’inquietante macchina lovecraftiana conducono quasi sempre a rivelazioni traumatiche, al tracollo psicofisico o, addirittura, alla morte, epiloghi che, talvolta, si concretizzano anche a causa di crimini e turpitudini commessi dagli antenati dei suddetti personaggi, i quali, come se marchiati a fuoco dalla colpa dei loro avi, non riescono a sottrarsi al loro fato drammatico e predeterminato. Esempi significativi di tali dinamiche narrative sono il racconto The Rats in the Walls (1923) e il romanzo breve The Shadow over Innsmouth (1936).

EREDITÀ: il lascito di un visionario
Lovecraft non raggiunse mai la fama e il successo economico nell’arco della sua breve esistenza: l’unica fonte di introiti costante per tutta la sua vita fu l’attività di revisore di manoscritti e correttore di bozze. Morì indigente ed incompreso dalla comunità letteraria del suo tempo, incapace di coglierne il genio visionario e l’incredibile capacità inventiva. Sebbene passato in sordina ai suoi tempi, questo autore conoscerà però una grande fortuna in diversi ambiti d’espressione artistica nella seconda metà del Novecento. Oltre all’influenza su giganti della letteratura dell’orrore e della fantascienza come Stephen King e Ray Bradbury, lo scrittore di Providence troverà ampia espressione nelle atmosfere energiche e tenebrose dell’heavy metal, che, sviluppatosi tra gli anni Settanta e Ottanta, ne accoglierà sin dai primi vagiti il lugubre immaginario: basti pensare a “Behind the Wall of Sleep” dei Black Sabbath (Black Sabbath, 1970), a “The Call of Ktulu” dei
Metallica (Ride the Lightning, 1980) e al dittico orrorifico “The Mad Arab” dei danesi Mercyful Fate (parte prima: Time, 1994; parte seconda: Into the Unknown, 1996), dilogia musicale che riprende la figura lovecraftiana di Abdul Al-Hazred, il poeta folle creatore del primo Necronomicon, il malefico volume capace di evocare i Grandi Antichi. Numerose band dell’odierna scena estrema del metallo pesante, come i sud-caroliniani Nile, continuano a trarre ispirazione da Lovecraft per la loro musica feroce.
L’autore statunitense conoscerà una certa popolarità anche nel campo del cinema e del fumetto: i registi statunitensi John Carpenter, Sam Raimi e Stuart Gordon ne rievocheranno lo spirito sinistro nei rispettivi lungometraggi Il seme della follia (In the Mouth of Madness, 1994), La casa (The Evil Dead, 1981) e il meno celebre Re-Animator (1985), che riprende il racconto dalle tinte frankensteiniane Herbert West, Reanimator (1922). Nel 2020, inoltre, è stato distribuito nelle sale americane Il colore venuto dallo spazio (Color Out of Space), basato sull’omonimo racconto e diretto da Richard Stanley. I grandi fumettisti Alan Moore, Neil Gaiman e Junji Itō, infine, si avvarranno dell’estetica e dell’orrore lovecraftiani per le loro opere letterarie.

 

PASQUALE SBRIZZI