Scrive Paola, alla fine del suo saggio:
«Le vite degli altri abitano la nostra, gli incontri che facciamo orientano il nostro percorso. L’io vive grazie e con l’Altro. E l’altro non è altro che un altro Io. […] La letteratura esisterà fin quando ci sarà un individuo che nel raccontare sé stesso racconta gli altri, ma senza riconoscersi in una sola immagine».

Fabrizia Ramondino si definisce scrittore proprio perché anarchicamente vuole trasferire nella sua scrittura, nella sua femminilità indagata ma comunque misteriosa il senso o se vogliamo non senso della frammentazione; vuole mostrare l’alterità insita nelle sue radici e nel suo continuo vagare. Sceglie di non incarnare un femminismo a parole ma di manifestarlo attraverso azioni costanti, vive o con i suoi personaggi, gli alter ego, donne libere tramite cui affronta temi fondamentali per la femminilità: l’aborto, la maternità quindi il rapporto madre-figlia e l’emancipazione.

Esatto. Tutti questi sono temi presenti nella letteratura femminile ma in lei c’è una componente più viva, un risvolto pratico. La militanza, l’impegno sociale sono scelte precise che superano l’arco narrativo. Ai molti, la scelta di dedicarsi a una produzione romanzesca (anche se con Fabrizia non possiamo mai parlare di romanzo in senso tradizionale) poteva apparire uno scandalo. Quando scrisse Althénopis, le persone con cui condivideva quell’impegno sociale, si stupirono della sua scelta di fare letteratura perché quel che in loro premeva era cambiare il mondo. Esistevano due componenti opposte ma molto forti e questo già segnava un grande punto di rottura. Tra le testimonianze del libro ce ne è una di Maria Liguori in cui viene messa in luce proprio questa alternanza tra impegno e creatività femminile. Coniugare insieme queste due forze opposte è alla base del pensiero inclassificabile di Fabrizia Ramondino ma anche del suo vissuto, della sua scrittura e della sua militanza.

Nella testimonianza di Maria Liguori, in cui vengono mostrate le due forze che animavano Fabrizia, c’è un passaggio che descrive come la sua scrittura anticonvenzionale e la sua bravura fossero impossibilitate a entrare in una logica di impresa da un punto di vista editoriale.
Fabrizia Ramondino era difficilmente incasellabile anche editorialmente e questa istanza può essere un valore aggiunto umanamente ma forse uno svantaggio in una dinamica economica e di mercato. La nostra rivista però crede fortemente nel valore umano, lo reputa un caposaldo fondante del fare editoriale. Tu come vedi la scena editoriale degli ultimi anni? E come pensi si possa ritornare a quel fattore umano, a quel lato creativo incarnato dalla stessa Ramondino

Fabrizia Ramondino scriveva libri non appartenenti a generi letterari predefiniti e già questo irride le
logiche del mercato.
La sua produzione è costellata di libri ibridi. Ha scritto un solo libro di poesia, Per un sentiero chiaro del 2004 ma già da Althénopis scorgiamo questa ibridazione poiché c’è una componente fortemente saggistica, accompagnata da note a margine, etimologie di parole ma anche il brusco passaggio dalla prima alla terza persona. Questo significa non incarnare un’unica via ma procedere per diramazioni. Per quanto riguarda il discorso sull’editoria, credo che le case editrici indipendenti di oggi stiano facendo un bellissimo lavoro, un lavoro migliore delle case editrici generaliste. Sono usciti bei titoli per Tamu edizioni o Giulio Perrone editore. L’editoria sta, infatti, vivendo un periodo di forte crisi. Le piccole case editrici stentano a vivere a favore, purtroppo, di quelle grandi che spesso resistono perché riescono ad agganciarsi a nomi di grido. È vero che per lo più è questo che fa vivere l’editoria di oggi però ci sono storie sorprendenti come il caso del Premio Campiello a Bernardo Zannoni, esordiente di ventisette anni pubblicato da Sellerio, L’orma che traduce, scommette e permette di conoscere al pubblico italiano una scrittrice premio Nobel come Annie Ernaux o Dante e Descartes che traduce ed edita per la prima volta Averno di Louise Glück, vincitrice del Nobel per la letteratura nel 2020. Ora, lo stesso libro è edito anche da Il Saggiatore ma è stata per prima una piccola casa editrice indipendente napoletana ad aver scommesso su questo testo.
L’editoria è insidiosa, è un campo di battaglia complesso perché spesso fa soffrire autori e autrici che non sono riusciti a vedere pubblicati i loro libri in vita nonostante gli sforzi e hanno poi ricevuto un successo postumo. È il caso di Goliarda Sapienza che con L’arte della gioia ha ricevuto un enorme successo in Francia ma ci sono voluti anni prima che l’Italia decidesse di pubblicarla. Oggi L’arte della gioia è un best seller ma l’autrice non ha mai visto il suo libro pubblicato se non vent’anni dopo la sua morte. Travagliato è pure quel che è accaduto a Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese. Queste autrici hanno sofferto affinché i loro libri venissero pubblicati, hanno vissuto storie dolorose senza aver il successo che meritavano perché l’editoria in quei casi non ne ha riconosciuto il valore se non postumo. C’è dolore, sudore, ci sono lacrime tra le pagine e tutto proprio perché spesso il mercato non si può prevedere. Al giorno d’oggi tutto questo poi è ancora più complesso e intricato. Come dice Maria Liguori, ci sono stati gli anni di Elsa Morante e ci saranno quelli di Fabrizia Ramondino. E io ci credo. Vedo già un cambiamento perché negli ultimi due anni qualcosa è accaduto. A maggio dell’anno scorso, ad esempio, è stato portato in teatro Villino bifamiliare, un testo teatrale inedito e a maggio prossimo sempre per il teatro di Napoli ci sarà un altro testo teatrale inedito con la regia di Mario Martone.

Questa mancanza di incasellamento emerge anche nel suo rapporto con Napoli. È proprio lei a dire che riesce a parlare della sua città solo attraverso il filtro della distanza o della cultura. Napoli è spesso descritta attraverso geografie fantastiche e toponimi fiabeschi. Com’era il rapporto tra Fabrizia e Napoli? Nella tua esperienza personale, vivere a Bologna, costituisce per te una lente di distacco con cui vedere Napoli? Qual è il tuo rapporto con la città?

Del rapporto tra Fabrizia e Napoli parlano i suoi libri, da Althènopis a Dadapolis la città è sempre presente.
Per me invece, Napoli è sempre stata la città grande in cui andare. Sono cresciuta a Portici e ho scoperto Napoli pian piano. Ogni volta che torno, vado a vedere qualcosa di nuovo, di sotterraneo perché Napoli è una città che non si muove soltanto alla luce del sole ma è antica, si innesta su altre culture e giunge sempre a uno svelamento.
Esiste una radice profonda che mi lega a questa terra. Questo è il motivo per cui sento di non potermi mai allontanare del tutto e nutro il desiderio di tornarci spesso.

Tu scrivi che esiste un Vesuvio che ci portiamo dentro. Cosa intendi?

Chi è nato a Napoli ha un rapporto intimo con questa città perché ci attrae per tutta la vita.
Mi rispecchio molto con quel che Fabrizia scrive in Star di casa: è un posto dove è difficile vivere ma che è sempre presente e rispecchia una condizione umana.
C’è, quindi, una complessità profonda, l’idea di una Napoli caleidoscopica che deve essere portata alla luce.
Il Vesuvio ci guarda e testimonia i secoli che ha percorso questa città. Alla quale moltissimi scrittori e intellettuali sono giunti per trovarne cultura e ispirazione. In Dadapolis, Ramondino raccoglie gli scritti di chi ha scritto di\su Napoli. I frammenti sono riuniti per argomenti: la fuga, lo smarrimento, gli dei, la fascinazione. Napoli viene raccontata attraverso le voci di chi c’è stato e questo è davvero sorprendente perché mostra come questa città abbia da sempre colpito e continui ancora a colpire chiunque ci passi.
Il forte rapporto che lega Ramondino a Napoli è di cattura e travolgimento e lo troviamo paradossalmente descritto nelle parole altrui, attraverso quel filtro del distacco e della cultura. Nel mio rapporto con Napoli avviene lo stesso ma il mio filtro è Fabrizia.
Ritorno ancora una volta a dire: le vite degli altri abitano la mia.

Nelle stesse parole della Ramondino, scritte nel saggio Star di casa, poste a chiusura della prefazione di Althénopis dello scrittore Silvio Perrella (Einaudi, 2016), troviamo un’emblematica descrizione di quel che Paola vuole dirci e che Fabrizia le ha trasmesso tramite quel filtro che non offusca la vista ma impreziosisce lo sguardo, lo apre per guardare più oltre:

«Così Napoli, dove è così difficile vivere e che invoglia tanto a partire, che è così difficile abbandonare e che costringe sempre a tornare, diventa, più di molti altri, il luogo emblematico di una generale condizione umana nel nostro tempo: trovarsi su un inabitabile pianeta, ma sapere che è l’unico dover per ora possiamo star di casa».

Ringraziamo Paola Nitido per averci illustrato un mosaico vivente di sentimenti e parole; per aver permesso che Fabrizia Ramondino abitasse le nostre vite e per averci ricordato, infine, che abitare ed essere abitati significa prima di tutto trovare luoghi, persone, idee costantemente e armonicamente in movimento, equilibri fragili da infrangere in luminosi frammenti per vedere un chiaro e mutevole insieme in cui poter star di casa.

Vi lasciamo con i suoi consigli di lettura e vi ricordiamo che il libro è acquistabile online:

Taccuino tedesco di Fabrizia Ramondino
Lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke
La campana di vetro di Sylvia Plath
L’arte della gioia di Goliarda Sapienza.

FINE SECONDA PARTE

                                                                               SABRINA CERINO