Sabrina Cerino

Quel che siamo stati, quel che diventeremo

Carezzo il corpo senza negarlo
Sono altro, oltre al raccoglitore
di pensieri
Mi piace pensare che il mio corpo
abbia parole graffiate e segni solcati
Mi piace pensare che le smagliature
siano il segno inciso sul muro
con il pennarello
quello che disegni
per segnalare la crescita, immortalare
il cambiamento
Mi piace pensare che le pieghe
della carne proteggano
il vissuto, traccino
le linee della vita
proprio come fanno i solchi della mano
o le rughe del volto
Mi piace pensare che le cicatrici
nascondano una storia, l’esperienza tattile
che la mente interpella
per non dimenticare mai
per dirci umani anche senza parlare
Solo toccandoci, lasciandoci toccare
possiamo non dubitare di esser esistiti
Seguire i nei come fossero stelle
costruttrici di costellazioni e galassie
cosmogonie silenziose e
grammatiche senza lingua
Liberarci dallo stigma
dal confezionamento
dal sigillo prestampato
Lasciar dire al corpo
il nostro diario tattile
scritto con sangue, ossa e carne
quel che siamo stati
e quel che diventeremo.

Il Fiore Donna

Ti colgo e poi
ti sbuccio come un frutto
per arrivare al cuore – disidratare il succo,
spolpare il seme e sotterrarlo nella mia terra.
Mi chiedo quanto feroce o docile sarà
la tua fioritura
fugace o duratura,
splendente o solitaria,
appariscente o dimessa
selvaggia o domestica
Mi chiedo se fiorirai e mostrerai i colori
e in che posa ti accascerai
quando morente, appassirai
nel mio giardino.
Ti scruto mentre lentamente
esplodi e sorrido, tronfio
afferrando l’idea di possederti
Ti sussurro il mio folle amore
carezzando il primo petalo,
ennesima vittima recisa
della mia collezione
Disteso in una foresta di suoi simili
il petalo narra la sua storia
Quel fiore voleva solo una carezza
e non esser colto
per poi marcire e morire
dentro terreno straniero – una landa ostile
che scambia l’odio per amore.

Sprofondare in me stessa

Emergo dal tumultuoso gorgo
per poi rientrarvi – così soltanto
io sono
Una mano che pianta
il seme della tempesta
e soffre per la violenza
dei suoi frutti.

Senza titolo

Io sono un progetto
che non ha mai fine
un’infinità di scarti

assorbiti in un insieme
Spilucco gli spazi
o mi nutro
a grandi bocconi
del tempo e le sue
manifestazioni;
Pesco dagli occhi
degli altri
e non ho mai fine
Tutto è in me indigesto
un indicibile frammentato
scisso nell’ignoto
Io sono la striatura dei misteri
i movimenti caotici del caso
la mano invisibile del destino
Un niente che sa
d’esser niente
ma racchiude in sé
tutti i desideri
dell’universo.