Appena sveglia dal sonno gravitazionale, le capitava di non ricordarsi su quale pianeta stesse atterando; saettava nell’atmosfera stringendosi al centro dell’abitacolo terrorizzata dal fuoco all’esterno.
Le fiamme che avvolgevano la sua navicella s’aprirono, il mare con gli squali mastodontici ricordò a Eve che quello era Domlion. Inziò una quantità di procedure delicatissime, diversi indicatori oscillavano nel silenzio del suo sguardo attento, alcuni toccavano le zone rosse e urlavano per avere più attenzione; anche stavolta non ebbe problemi e continuando a manovrare atterrò spegnendo i motori. Prese i suoi hard disk olografici e il pc e scese.
“Dtottoressa, la aspettavfamo impaszienti, abbpiamo fatto gkrandi passi avfanti dalla sua ultima vfisita.” “Da quant’è che manco per voi?” “Stavfolta è mancata per uno anno ye mezszo”
Prese nota sul taccuino della disfuzione dei curvatori spaziali. “Altro da segnalare?”
Partì con una lista lunga e accurata di studi effettuati e specie scoperte, poi gli diede anche delle notizie che i figli volevano farle avere non appena fosse giunta.
“Lei è…come dite vfoi umani? Nhonnya?” aveva sempre uno sguardo così luminoso mentre gli chiedeva le cose, ma Eve sapeva restituirgliene solo uno scientifico; era stata lei a classificare questa razza come possibile alleata e a salvarli dalla schiavitù, tutti i Domlioniani la ringraziavano silenziosamente ogni volta possibile.
Le crudeltà dell’impero galattico Terrestre erano ormai famose in tutta quella zona della galassia e essi stessi sapevano che non esisteva un popolo in grado di opporsi, quel pianeta di quell’insignificante sistema solare era oramai la casa dei vincitori, con tutto quel che ne conseguiva. Eve ripose il taccuino e la penna nel suo orologio porta oggetti, e il Domlioniano 0057 fu strabiliato nel vedere come il raggio scomponeva la materia per risucchiare lo spazio interno degli atomi.

Appena entrata in casa, i suoi figli Domlioniani le corsero incontro, il pc le sussurrò i nomi. Suo marito le sorrise mentre sorreggeva il pancione, quei denti appuntiti le stavano dicendo che tra poco ce ne sarebbe stato uno di più. Per prima cosa depose un chip monetario con una somma tale a farli campare per almeno altri 8 anni, poi andò a vedere il pargolo che era appena entrato nel suo stato di pre-coscienza. Il neonato sapeva già che quella donna era la sua nonna biologica, ma non aveva tutti gli istinti del caso. Data la sua tenera età, non era ancora in grado di manifestare quel che aveva capito prima dei suoi fratelli, così fece quel che è permesso fare ai bambini, pianse e vomitò su di lei. Fu molto contento di vederla contrita e irritata. Il vomito corrose leggermente i suoi vestiti e fu costretta a toglierseli. Quando fu a petto nudo si sedette e chiese chi delle loro figlie avesse dato i geni per lui, e suo marito gliela indicò. “Trit” le ricordò il pc.
“Come ti senti ad essere madre?” Sua figlia aveva occhi inquieti “Bene, davvero bene, insomma…come potrei essere altrimenti?”.

Dopo qualche settimana, Eve risalì sulla sua navicella. Ripensò a tutti i momenti con i suoi mostriciattoli verdi, ricordò la nascita di tutti quelli a cui era presente, si asciugò gli occhi e chiese al computer di mostrarle le foto e i video della loro infanzia. Appena lasciata l’atmosfera il letto gravitazionale l’avrebbe fatta scendere nel suo sonno per il viaggio, finché non chiuse gli occhi riguardò quelli che erano stati gli ultimi 15 anni della sua famiglia Domlioniana e purtroppo non sapeva come smettere di piangere così tanto. Mentre il risucchio gravitazionale le teneva al sicuro le ossa permettendole di scendere subito sui suoi piedi una volta giunta a destinazione, le lenzuola si schiacciavano sul materasso evidenziando come su quei 6 metri quadri non ci fosse nient’altro che una donna sola.

Ogni volta le manovre d’atterraggio sembravano più complesse e allo stesso tempo la sua dimestichezza aumentava notevolmente. Stavolta fu l’Africa a ricordarle che era sul suo pianeta natìo. Passò nei laboratori a portare i dati per lo studio sugli ibridi umano-domlioniani e quanto questi potessero essere utili per lo sviluppo della razza. Poi tornò a casa.

“MAMMA! Sei tonnata!” Elisabeth, 3 anni; Judith 7 anni; Meredith 11 anni; Thomas 18 anni; Andrea 21 anni. Nomi inglesi in conseguenza di ==> padre inglese. Metodo di concepimento: sesso. Si inginocchiò ad abbracciare le più piccole, compresa Meredith che, a differenza delle altre undicenni, ancora adorava i genitori, specialmente la mamma. Furono minuti intensi di baci e carezze. Mostrò i doni che aveva portato, sorrise un po’ e pianse un altro po’, ma smise perché le bimbe si spaventarono, la mamma faceva sempre una faccia spaventosissima quando piangeva.
La piccola Judith le si fece vicino e le baciò la guancia per dirle nell’orecchio “Mamma, stanotte ho sognato che tornavi a casa con un piccolo bimbo verde. Hai un piccolo bimbo verde nella navicella, mamma?” la schiena le si irriggidì e tremò.
“Cosa dice sempre la mamma, Judith?” la voce, che traditrice bastarda, in un momento simile. All’unisono:”Unisci i puntini nel cielo se ti manca e vedrai che prima che t’aspetti tornerà la mamma.” Poi dopo aver respirato dell’ossigeno necessario ” voi siete i miei unici bambini” e le baciò la fronte.

Non passò molto tempo prima che dovette partire ancora “Ti amo Eve” ” Anch’io…William, bada alle bambine, Judith mi sembra più triste del solito.” “Eve, c’è qualcuno che ti aspetta su Domlion, non è vero?” che occhi, quanta sapienza che avevano i suoi occhi rispetto alla voce “Tu sei il solo per me, Willy” e anche le labbra, che attrici.

Scese su Domlion sovrappensiero e svolse le sue mansioni per mesi senza nemmeno accorgersene. Andava dalla sua famiglia, cucinava il cibo Domlioniano, amava alla maniera Domlioniana, poi rimaneva ore intere a fissare il cielo, sul taccuino disegnava le costellazioni che si rifiutavano di farsi mettere in riga, le toccava sempre lavorare di fantasia per dare una forma anche minimamente riconoscibile, era sempre in attesa di un disegno auto evidente, qualcosa che la facesse sentire una stupida per non averlo visto fino a quel momento.

Alessandro Di Porzio