Poesie tratte da Il sentiero del polline, di Guglielmo Aprile

Creta del tempo

Scava il morso dell’onda nella pelle
della scogliera, ne erode le falde
aprendo grotte ampie come bocche
di piovre, squarci, faglie che si allargano
in forma di neri fiori di roccia;
fino a che un blocco si stacca e dà origine
a un nuovo scoglio, che somiglia a un pugno
chiuso sull’acqua, di tufo; e il tufo era
vivo un tempo, era magma, e dalle viscere
della terra sgorgava, era il suo sangue
poi rappreso e scolpito in varie fogge:
idoli informi, teste di ciclopi
o schiene di odalische: creta arresa
al bulino delle ere, allo scalpello
di venti ed acque, fabbro millenario.

Indecifrata stele

Sulla pelle dei massi, cicatrici
e squarci e tumefazioni ricordano
di atavici incendi, di guerre
che diluvi e cavallerie di fulmini
ingaggiarono, al tempo in cui un gigante
dalle palme di fuoco dava forma
al pianeta, piegando rocce ed acque
alla sua rude carezza e al capriccio
delle sue furie, e sugli spazi nudi
intervallava a caso gole e alture,
spiegava valli e partoriva vette,
ed ogni ruga lungo le scogliere
e ogni picco e cresta componeva
in una trama assurda, sconvolgente
ed insieme perfetta, in apparenza
priva di logica eppure magnifica;
tornio delle ere, crogiolo dei mondi,
pagina aperta di onde e colli e nuvole,
cosmica stele su cui segni e tracce
di favole dimenticate interpreto.

Onda madre

C’è nel vento e nell’onda uno scultore,
ma della sua creazione mai è pago,
dalla mano sapiente anche se rude
che è trascorsa sul tufo e vi ha lasciato
l’impronta delle sue palme tenaci
strato su strato, dei suoi polpastrelli
fitti e operosi, della sua carezza
violenta e insieme amorosa, che a lungo
ha scavato la roccia e levigato
la pelle della costa, ne ha tornito
i fianchi in golfi curvi e li ha cosparsi
di statue appena abbozzate di mostri
dai profili bizzarri, che ricordano
un bestiario fantastico o una razza
anteriore di uomini ma estinta
perché lapidata dagli astri o a seguito
di una ignota calamità, che oggi
riemerge dalla pietra: esseri nati
dalle febbri e dagli incubi del mare,
dalle facce contratte in uno spasmo,
dalle pose grottesche, innaturali,
da epilettici, corpi che le viscere
di una Pompei di sale naufragata
custodiscono intatti, e che la schiuma
abbatte e poi resuscita instancabile.

Metamorfosi

(Ischia, spiaggia di San Montano, 2021)

Di un ignoto misfatto
fu questa baia teatro: un titano
precipitato dal cielo per qualche
immemore colpa, ora giace
inerte lungo la spiaggia; e il suo corpo
enorme, in parte la pietà delle acque
protegge, in parte sfracellato e in pezzi
in lunghe frane di scogli si svela;
e la sua posa stremata, sconfitta
plasma la costa in anse e in promontori:
accatastano i ripidi graniti
montanti a picco sullo specchio azzurro
quello che fu il macigno frantumato
delle sue ossa, e le creste che innalza
scomposte e diseguali l’arenaria
furono le sue scapole, le costole
che dense masse vegetali curvano,
lo sterno è steso nell’alveo in cui forse
scorreva un fiume, dal greto cosparso
di denti mozzi, rotule spaccate
rose dal sale i massi che rovinano
dal ciglio a riva, velati dal muschio;
e sono i picchi gomiti, e le vertebre
conchiglie, e i bui anfratti nella rupe
scavano orbite che contennero occhi
ed oggi cave, ombelichi ventosi,
e la sua pelle si è mutata in sabbia,
e fu il suo cranio la cima che popoli
invasero di agave e di mirto;
e il sospiro ricorda delle onde
quell’antichissimo scempio, e quel tempo
in cui un essere anteriore agli uomini
signoria aveva sopra questi luoghi.

Archeologia marina

Città naufraga, fossile di un regno,
urna degli elementi e delle ere,
reliquiario delle costellazioni:
nella risacca l’eco del tuo nome,
delle folle che un tempo ti abitavano
si spande, mentre lungo la battigia
cammino e aspiro il sale del tuo alito
e la tua pianta sommersa percorro
all’indietro nel tempo, come se
non fossi mai andata a fondo, aggirandomi
a nuoto, tra necropoli di scogli,
per i tuoi nudi lastrici deserti,
per le tue scale di basalto, oggi
franate, levigate dalle acque
e dalla loro perpetua carezza,
che conducono ai tuoi templi sommersi,
dai portici scanditi da trafile
lunghissime di statue d’ambra e quarzo,
dalle arcate che il fuoco dei coralli
di bizzarri mosaici ricamava
poi sbiaditi, dai muri marci di alghe
e incrostati di gusci, dalle cupole
adorne di festoni di madrepore,
dalle colonne che fitte ghirlande
di gorgonie avvolgevano in spirali
dai colori ricchissimi e le trame
complicate e i decori enigmatici;
dai marmi infranti, di cui stente affiorano
schegge nel bianco frastuono dell’onda,
e gli altari e le fiamme mai estinte
il cui barbaglio scintilla e resuscita
nel volo e nel baleno della spuma.

(Spiaggia di Forio di Ischia, estate 2021)